Il diritto umano alla scienza aperta

27 dicembre 2021

L’articolo di Roberto Caso e Federico Binda, Il diritto umano alla scienza aperta, anticipato in forma di preprint nella serie (nr. 41) dei Trento LawTech Research Papers, del Gruppo LawTech dell’Università degli studi di Trento, è stato pubblicato nel volume a cura di Giulia Perrone e Marco Perduca per l’Associazione Luca Coscioni, Così san tuttз – Diritto alla Scienza, istruzioni per l’uso, Roma, Fandango Libri, 2021, 44-52

Politiche sulla scienza aperta in Italia: solo “bla bla bla”

Copertina del disco Parole-Parole (interpreti Mina e Alberto Lupo, PDU, 1972)

Roberto Caso

In Roars, 13 dicembre 2021. Pubblicato su Agenda Digitale, 17 dicembre 2021 con il titolo “Scienza aperta? In Italia è un mito: ecco tutti i problemi irrisolti“, disponibile anche su Zenodo.

Versione del 24 novembre 2021

Politiche sulla scienza aperta in Italia: solo “bla bla bla”

Roberto Caso[1]

Introduzione

Mentre l’UNESCO si accinge ad adottare la raccomandazione sull’Open Science, la Francia ha da poco varato il secondo piano nazionale sulla scienza aperta, e l’UE non solo finalizza il progetto Horizon Europe all’apertura dei risultati della ricerca ma inserisce le pratiche dell’Open Science tra gli elementi di valutazione delle proposte progettuali, in Italia si discute molto di politiche della Scienza Aperta senza sviluppi concreti e significativi. Anzi, oggi la scienza appare nel nostro Paese meno aperta e libera: i condizionamenti politici e privati si fanno via via più pesanti.

Vediamo, limitandoci ad aspetti esplicitamente etichettati come attinenti all’Open Science, alcuni dei principali problemi irrisolti.

Il Piano Nazionale per la Scienza Aperta: un documento-fantasma

Con delibera n. 74 del 2020 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie generale, del 23 gennaio 2021) il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, su proposta del Ministero dell’Università e della Ricerca, ha approvato il Programma Nazionale della Ricerca 2021-2027. Tale programma preannuncia, con due estratti, il Piano Nazionale per le Infrastrutture di Ricerca (IR) e il Piano Nazionale per la Scienza Aperta. A distanza di quasi un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale mentre il piano infrastrutture è stato pubblicato il 20 ottobre 2021 del piano sulla scienza aperta si sono perse le tracce.

Il PNR prevede (p. 153) a proposito delle IR le seguenti principali azioni:

–  la creazione di una rete delle IR e la loro diffusione e conoscenza;

–  il rafforzamento delle politiche per l’accesso;

–  il riconoscimento delle IR quale strumento per l’attività di ricerca degli ambiti del PNR e per la partecipazione ai partenariati europei (ad esempio, EOSC e EuroHPC);

–  il ruolo delle IR nell’innovazione e nei rapporti con l’industria e lo sviluppo di Infrastrutture Tecnologiche (IT);

–  l’utilizzo delle IR nell’alta formazione;

–  le modalità di finanziamento.

Le IR sono strumentali allo sviluppo della scienza aperta.

Il PNR (p. 154) così si esprime in proposito:

“Con l’accesso aperto ai risultati (dati, articoli, standard, procedure, strumenti ecc.) e alle facilities dove svolgere e perfezionare la ricerca, le IR si impegnano a svolgere un ruolo rilevante nell’attuazione della strategia sulla scienza aperta promossa dalla Commissione Europea per migliorare la circolazione delle conoscenze e l’innovazione”.

Il Piano Nazionale per le Infrastrutture di Ricerca (IR) specifica (p. 8-9) quanto segue riprendendo quasi letteralmente l’estratto ora citato:

“Le IR sono e devono essere elemento fortemente attrattivo per i ricercatori di tutto il mondo, rappresentando il luogo fisico o virtuale aperto a tutti, per poter condurre ricerche d’avanguardia, sperimentare, crescere ed innovare. L’accesso offerto dalle IR con la possibilità di fruire di dati, attrezzature, servizi ed expertise diversi per condurre studi ed esperimenti scientifici ha un ruolo decisivo nel far avanzare le frontiere della conoscenza nei vari settori, con la creazione di saperi orientati a sfide sociali globali che mai come ora richiedono approcci e metodi innovativi.

Con l’accesso aperto ai risultati (dati, articoli, standard, procedure, strumenti ecc.) e alle facility, dove svolgere e perfezionare la ricerca, le IR si impegnano a svolgere un ruolo rilevante nell’attuazione della Strategia sulla Scienza Aperta promossa dalla Commissione europea per migliorare la circolazione delle conoscenze e l’innovazione”.

A proposito della Scienza Aperta nel PNR si legge (p. 156) quanto segue:

“Per “scienza aperta” si intende un nuovo paradigma per la creazione della conoscenza scientifica basato su trasparenza e cooperazione, capace di potenziare la ricerca e l’insegnamento scientifico. Esso promuove la condivisione di conoscenza rimuovendo le barriere create dalle gabbie editoriali e dai rigidi ambiti disciplinari. La scienza aperta accresce l’efficacia della collaborazione e la riproducibilità dei risultati della ricerca, la possibilità di riuso dei dati per nuove analisi anche di tipo interdisciplinare, nonché la fruibilità del sapere scientifico generando fiducia nel pubblico.

Per “accesso aperto” all’informazione scientifica si intende la possibilità di reperire in rete le pubblicazioni scientifiche, i dati e i metadati che li rendono fruibili, e ogni altro risultato della ricerca e dell’insegnamento scientifico, senza costi e senza barriere giuridiche e tecniche.

I principi della scienza aperta sono:

– la conoscenza come bene comune;

– la collaborazione e la solidarietà tra scienziati nonché tra scienziati e cittadini;

– la possibilità per tutti di accedere ai risultati della ricerca scientifica;

– la trasparenza del processo e dei contributi usati per la produzione e la validazione dei risultati scientifici;

– la disponibilità gratuita e con diritti di riuso, in rete, dei risultati della ricerca e dell’insegnamento;

– il rigore scientifico, la riproducibilità dei risultati sperimentali, la discussione critica dei dati, delle

informazioni e della conoscenza resi accessibili in rete”.

Il Piano Nazionale per la Scienza Aperta costituisce (p. 158) un documento programmatico che:

–  “concorre all’implementazione della scienza aperta come visione d’insieme con strategie specifiche per i singoli elementi, profondamente interconnessi, che debbono interagire per creare un ecosistema aperto (pubblicazioni, dati, strumenti di analisi, infrastrutture, valutazione, formazione);

–  assicura il coordinamento e la sinergia fra tutti gli attori coinvolti, ovvero il MUR, l’ANVUR, le infrastrutture di ricerca, gli enti di ricerca e gli atenei, impegnando gli attori del sistema su obiettivi chiari e misurabili;

–  definisce il ruolo che l’Italia deve giocare a livello europeo sul tema della scienza aperta e nel quadro dell’iniziativa EOSC, evidenziando le priorità e le specificità nazionali;

–  ottempera a quanto richiesto dalla Raccomandazione (UE) 2018/790 della Commissione Europea sull’accesso alla comunicazione scientifica e la sua conservazione in termini di coordinamento e strategia a livello nazionale sulla scienza aperta”.

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vi è nella Missione 4 “istruzione e ricerca” il richiamo al Programma Nazionale della Ricerca in riferimento a un apposito fondo (p. 191), tuttavia manca qualsiasi accenno alla scienza aperta, mentre abbondano i richiami al trasferimento tecnologico (vero e proprio mantra della contemporaneità). Il dato sorprende, anche se letto nella logica asfittica che informa il documento: “dalla ricerca all’impresa” [M4C2]. Ammesso e non concesso che la ricerca finanziata con fondi pubblici serva solo a imprese e mercato, non si comprende la ragione dell’omissione della scienza aperta che avvantaggia tutti i cittadini e anche tutte le imprese.

Un paio di cenni all’Open Science si rinvengono curiosamente nelle Linee Guida del Ministero dell’Università e della Ricerca sul PNRR. In particolare, a proposito delle Infrastrutture di Ricerca e Infrastrutture tecnologiche di Innovazione quando si parla (p. 34) della quota di accesso alle infrastrutture si specifica:

“La quota di accesso destinata al sostegno alla scienza aperta e all’innovazione aperta sarà prevalente, pur offrendo opportunità sostanziali di accesso protetto a pagamento”.

Nell’era della pianificazione pervasiva, è in corso di elaborazione da parte del Ministero della Cultura anche il Piano Nazionale di Digitalizzazione del patrimonio culturale (PND).

Sul sito di riferimento si legge quanto segue:

“Il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND) è lo strumento per guidare il processo di cambiamento verso la trasformazione digitale degli istituti culturali nella digitalizzazione del patrimonio culturale e nella creazione di nuovi servizi.

In questa prospettiva, il PND facilita il governo dell’ecosistema digitale della cultura, nella consapevolezza che la digitalizzazione del patrimonio culturale è un progetto collettivo e non la sommatoria di azioni individuali.

L’obiettivo è inquadrare ogni azione degli istituti del territorio all’interno di un framework condiviso fatto di policy e regole comuni.

Il PND si configura come il dispositivo che individua principi comuni per affrontare problemi comuni ai diversi settori disciplinari; come ogni documento di pianificazione strategica deve inoltre saper cogliere i trend attuali che riguardano le tecnologie digitali per declinarli utilmente nel settore del patrimonio culturale. Così come deve prevedere degli strumenti di monitoraggio con delle chiare metriche per definire gli impatti delle attività di digitalizzazione”.  

Sarebbe auspicabile che tra Piano Nazionale della Scienza Aperta e PND ci fosse un coordinamento visto che l’accesso aperto al patrimonio culturale costituisce un aspetto rilevantissimo della scienza aperta. Sarebbe inoltre auspicabile che in questo coordinamento si tenesse conto della Raccomandazione della Commissione UE del 10 novembre 2021 sullo spazio europeo comune dei dati per il patrimonio culturale. In questa raccomandazione si leggono i seguenti principi-guida:

“15. Cultural heritage institutions should adhere to relevant standards and frameworks, such as those used by the Europeana initiative for sharing digital content and metadata, including the Europeana Data Model, RightsStatements.org, and the Europeana Publishing Framework, to achieve interoperability at European level. Member States should take the necessary measures to promote and facilitate the adherence to such existing and future standards and frameworks and collaborate at the European level to expand them in the context of the data space.

16. Member States should actively encourage cultural heritage institutions to make their digitised assets available through Europeana and thus contribute to the data space, in line with the standards and frameworks referred to in point 15 and with the indicative targets provided in Annexes I and II.

17. Contributions from cultural heritage institutions, referred to in point 16, should include, in particular, 3D digitised cultural heritage assets to promote European cultural jewels, enhance the potential reuse in important domains such as social sciences and humanities, sustainable cultural tourism, cultural and creative sectors, or help identify cultural goods that are illicitly trafficked.

18. Member States should ensure that, as a result of their policies, data resulting from publicly funded digitisation projects become and stay findable, accessible, interoperable and reusable (‘FAIR principles’) through digital infrastructures (including the data space) to accelerate data sharing.

19. All public funding for future digitisation projects of cultural heritage assets should be made conditional upon making digitised content available in Europeana and the data space, as referred to in point 16.

20. Member States should take all the necessary measures to support and raise awareness of Europeana among the general public and particularly in the education sector and schools, including through educational materials.

21. Member States should exploit the European federation of cloud-to-edge infrastructure and services in order to scale up the storage, management and access to digitised cultural heritage assets”.

La pandemia: conoscenza come bene privato o comune?

Si è scritto molte volte che la pandemia avrebbe dovuto rappresentare l’occasione per accelerare lo sviluppo della scienza aperta anche attraverso la compressione della proprietà intellettuale. Meno proprietà intellettuale, più scienza aperta. Così non è stato.

L’esempio macroscopicamente più evidente è offerto dai vaccini anti-COVID-19. Le proposte volte alla condivisione globale di conoscenze e tecnologie alla base dei vaccini così come quelle di sospensione delle normative internazionali e nazionali sulla proprietà intellettuale segnano il passo. Vaccini, altri farmaci e dispositivi medici sono diventati strumenti di geopolitica al servizio delle logiche del dominio e del condizionamento.

In particolare, la proposta di India e Sudafrica di sospensione di parte dell’accordo TRIPS (l’accordo sui diritti di proprietà intellettuale nell’ambito del WTO), avanzata nell’ottobre 2020 e riformulata nel maggio 2021, che ha incontrato un vastissimo consenso (anche tra i cittadini europei), sarà discussa in seno al WTO per l’ennesima volta a fine novembre 2021. Ma sono esigue le speranze che tale discussione possa esitare in un voto favorevole alla sospensione. Un blocco di Paesi occidentali, con l’Unione Europea in testa, si oppone risolutamente.

Il problema non riguarda solo il diritto dell’emergenza, cui è ascrivibile, la proposta di sospensione dell’accordo TRIPS, ma anche (e soprattutto) la visione del futuro, cioè le riforme organiche del diritto che servirà ad affrontare i problemi di domani, comprese le prossime pandemie.

Nei documenti programmatici – v., ad es., il Piano d’azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’UE del 25 novembre 2021 e le Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023 del MISE del 23 giugno 2021 – e nelle ultime riforme – v.  ad es. la Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE e la sua attuazione in Italia – la ricetta dei decisori politici rimane la stessa: rafforzare la proprietà intellettuale.

Oligopoli più forti che mai. Due esempi: contratti trasformativi e piattaforme per l’interazione a distanza

Il sistema della comunicazione della scienza è saldamente nel controllo di pochi grandi editori commerciali e piattaforme Internet che praticano l’analisi di dati. Le infrastrutture di ogni anello della catena che porta dalla ricerca dei dati grezzi alla valutazione dei risultati sono in mano a grandi attori privati del mercato digitale.

Due esempi bastano a rendere l’idea: a) le infrastrutture per la comunicazione e per la valutazione delle pubblicazioni e b) le infrastrutture per l’interazione a distanza (convegni, seminari, didattica, riunioni).

a) Pubblicazioni scientifiche. Il sistema commerciale delle pubblicazioni digitali degli ultimi decenni si è basato prevalentemente su licenze di accesso e d’uso dei contenuti di grandi banche dati. Tali licenze sono normalmente stipulate da editori commerciali (ora imprese di analisi di dati) e consorzi di utenti (ad esempio, consorzi universitari come CRUI-CARE in Italia). Si tratta di contratti pluriennali a pacchetto (in gergo big deal). Tale sistema presenta una serie di gravi difetti: ingessa il mercato e alimenta il potere oligopolistico facendo crescere esponenzialmente i prezzi, sottrae il controllo fisico delle informazioni e dei dati alle biblioteche e agli utenti, consente alle imprese di praticare la sorveglianza di massa (i fruitori delle banche dati sono costantemente spiati secondo le consuete pratiche del capitalismo della sorveglianza), lega indissolubilmente le pubblicazioni scientifiche alla valutazione bibliometrica.

Per mettere fine a questo sistema malato servivano le seguenti riforme: comprimere la proprietà intellettuale degli intermediari commerciali, rafforzare il diritto d’autore dello scienziato mediante il riconoscimento di un diritto irrinunciabile e inalienabile di ripubblicazione in Open Access e azzerare o quantomeno ridurre il peso della valutazione bibliometrica. Queste riforme avrebbero consentito lo sviluppo di Open Access alle pubblicazioni scientifiche libero dal potere oligopolistico.

Invece, sta passando l’idea dei c.d. “contratti trasformativi”. Gli editori si impegnano – si noti che si tratta di un “impegno dello spirito” che non può trovare alcuna tutela giuridica – a trasformare gradualmente il proprio modello commerciale ad accesso chiuso in accesso aperto a pagamento per chi pubblica. Alla fine della trasformazione – non si sa quando – si pagherà solo per pubblicare, ma l’accesso del pubblico alle pubblicazioni sarà gratuito e con diritti di riuso. Nella fase di transizione gli editori continuano a commercializzare i consueti abbonamenti per l’accesso chiuso, ma lucrando – in base a varie formule commerciali – anche su complementari diritti di pubblicazione in accesso aperto. Il sistema presenta difetti non meno gravi di quello basato sui classici big deal per abbonamenti ad accesso chiuso: consolida il potere oligopolistico con effetti sia sui prezzi per accedere sia su quelli per pubblicare, mantiene la capacità di sorveglianza globale e il potere di valutazione bibliometrica, innesca nuove forme disuguaglianza e ingiustizia avvantaggiando chi ha il potere economico per comprare i diritti di pubblicazione in accesso aperto.

b) Interazione a distanza. Al di là di alcune lodevoli eccezioni, come la piattaforma GARR Meet e quella del Politecnico di Torino, durante la pandemia l’interazione a distanza (convegni, seminari, lezioni, riunioni) in Italia si è basata sull’uso di piattaforme proprietarie facenti capo alla galassia GAFAM o a nuove emergenti realtà imprenditoriali come Zoom. Nonostante numerosi studi abbiano messo in evidenza i rischi – innanzitutto in termini di violazione del diritto alla protezione dei dati personali – legati all’uso di tali piattaforme, non esiste un “piano” o semplicemente un’azione per restituire al settore pubblico il controllo delle infrastrutture per l’interazione a distanza.

Conclusioni

In Italia ci sono tre priorità nello sviluppo della scienza aperta, intesa come scienza pubblica e democratica.

1) Creare infrastrutture pubbliche e aperte per sottrarre la scienza agli oligopoli commerciali. Ciò vale, in particolare, per il software, per le pubblicazioni, per i dati della ricerca, per le piattaforme per l’interazione a distanza, per le invenzioni come farmaci e dispositivi medici essenziali.

2) Smantellare il sistema basato su agenzie ministeriali come l’ANVUR che svolgono una valutazione amministrativa verticistica basata su algoritmi e metriche proprietarie.

3) Riformare organicamente le leggi sulla proprietà intellettuale allo scopo di sfoltire e comprimere le esclusive nonché, specularmente, di estendere il pubblico dominio. Non si tratta tanto di creare zone franche per la scienza istituzionale, quanto di eliminare o restringere diritti di proprietà intellettuale, restituendo a tutti i cittadini gli spazi di libertà via via sottratti.

Si noti che i tre punti sono strettamente connessi. In particolare, la creazione di infrastrutture del settore pubblico è garanzia di libertà solo se lo stesso settore pubblico non opera in base a una valutazione amministrativa verticistica, cioè solo se non opera autoritariamente. D’altra parte, il solo intervento sulla proprietà intellettuale non può da solo distruggere gli oligopoli se non si interviene sulla valutazione.

In ogni caso, nessuno dei tre punti rientra nell’agenda politica dello Stato italiano. Non in quella del Governo, non in quella parlamentare. Manca un efficace coordinamento delle azioni portate avanti dalle singole istituzioni. Mancano persino dati e numeri affidabili sullo stato di avanzamento della scienza aperta. Ad es., sono poche le università che pubblicano relazioni sui progressi in termini di attuazione della scienza aperta (per alcune eccezioni v. qui e qui).

Insomma, la discussione politica sulla scienza aperta in Italia suona come altri e più noti dibattiti: un triste (o sinistro) “bla bla bla”, un (inquietante) rumore di fondo che copre scelte molto nette e precise di accentramento del controllo e di privatizzazione della scienza.

Gli unici progressi che si registrano nel nostro Paese sono dovuti alla buona volontà di singoli ricercatori, piccoli gruppi e poche istituzioni – università, enti e istituti di ricerca – che si districano negli angusti spazi di libertà dell’attuale ecosistema provando a tenere accesa la speranza di una scienza realmente aperta.


[1] L’autore è presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA) ed è stato componente del gruppo di esperti che ha contribuito alla redazione del Piano Nazionale per la Scienza Aperta previsto dal Programma Nazionale della Ricerca 2021-2027.

Workshop (October 20-21): Supporting Open Culture through Open Data

reCreating Europe

Join our upcoming workshop on legal aspects related to digitisation for Galleries and Museums (GM) on October 20-21, hosted by Museo Egizio (Egyptian Museum) in Turin, Italy.

Co-organisers: reCreating Europe, GLAM-E Lab, Egyptian Museum, Serpentine Legal Lab

Other contributors: Creative Commons + Creative Commons – Italian Chapter, Wikimedia Foundation + Wikimedia Italia, Europeana, Fondazione Torino Musei, inDICEs Project, ICOM Italia

Program available here.

La borsa e la vita

VI convegno annuale dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza aperta (in videoconferenza)

AISA – Scienza aperta – VI convegno annuale

La borsa e la vita. Scienza aperta e pandemia

Il sesto convegno annuale dell’AISA, organizzato dall’Università di Palermo, si è svolto il 14 -15 ottobre 2021 in teleconferenza.

Video disponibili qui:

– sessione del 14 ottobre: <https://www.youtube.com/watch?v=Rcb_gDpA2Q4>
– sessione del 15 ottobre: <https://www.youtube.com/watch?v=8Xzyj-KfD3Q>

Le slide sono disponibili qui di seguito.

Roberto Caso, Introduzione

Massimo Carboni, GARR, GARR e l’esperienza di strumenti aperti. Un modello di federazione delle risorse di video conferenza

Rossana Ducato, University of Aberdeen, Guido Noto La Diega, University of Stirling, Questioni aperte in tema di diritto d’autore e privacy nell’Internet delle piattaforme per la didattica a distanza

Davide Borrelli, Università Suor Orsola Benincasa, La disruption valutativa della scienza: che cosa ci ha insegnato la pandemia?

Paola Galimberti, Consiglio direttivo AISA, Università di Milano, Contratti trasformativi: un passo avanti per chi?

Giovanni Destrobisol, Consiglio direttivo AISA, Sapienza Università di Roma, Paolo Anagnostou Sapienza Università di Roma, e Marco Capocasa, Sapienza Università di Roma, COVID-19 e Open Access

Stefano Ruffo, SISSA, CRUI, L’azione della CRUI a sostegno della Scienza Aperta

Nicoletta Dentico, Health Justice Programme, Society for International Development (SID), Geopolitica della proprietà intellettuale in tempo di pandemia

Caterina Sganga, Scuola Sant’Anna di Pisa, Brevetti, pandemie, crisi sanitarie: flessibilità di oggi e riforme necessarie per domani

Giorgia Bincoletto, Paolo Guarda, Università di Trento, Gestione dei dati clinici e scienza aperta: la minaccia della data exclusivity

Il regime giuridico dei dati della ricerca scientifica

Pubblicato (anche in Open Access) il libro di Paolo Guarda su “Il regime giuridico dei dati della ricerca scientifica”. Nel libro si parla anche di Open Science e Open Access

http://hdl.handle.net/11572/315657

Abstract

“La ricerca scientifica si basa sui dati, i quali rappresentano l’assunto di partenza per il postulato di teoremi, per la dimostrazione di tesi, per la proposta di soluzioni affidanti. I dati sono perciò le pietre, i mattoni della scienza, ma necessitano di esser organizzati mediante criteri sistematici rigorosi per divenire elemento strutturale e fondante. Il mondo del diritto ha nel tempo predisposto apparati normativi che hanno, in modo frammentato e settoriale, fornito una regolamentazione ai vari contesti interessati dalla gestione dei dati concentrando l’attenzione sullo specifico scenario applicativo, ma raramente ricercando, se non in via eccezionale e talvolta inconsapevole, una visione complessiva. Anzi, proprio l’affastellarsi di diversificate soluzioni normative relativamente a contesti che, invece, si presentavano fortemente contaminati gli uni dagli altri, ha fatto in modo che si venisse a determinare un risultato finale caratterizzato da un regime di sovra-protezione. Quest’opera si propone di esplorare le specificità del regime giuridico dei dati della ricerca scientifica, offrendo un’analisi fondata su un metodo sistematico ad un tema troppo spesso frammentato in tanti e diversi sotto-insiemi di regole. Un approccio olistico che non intende solo fornire una guida ai temi giuridici interessati, ma che fa dell’interdisciplinarità il vero valore aggiunto e la necessaria chiave di lettura dei fenomeni in atto”.

Pandemia e vaccini. L’irrisolvibile antagonismo tra scienza aperta e proprietà intellettuale

Immagine tratta da: M. Gaviria, B. Kilic, A network analysis of COVID-19 mRNA vaccine patents, Nat Biotechnol 39,546–548 (2021). https://doi.org/10.1038/s41587-021-00912-9

Pandemia e vaccini. L’irrisolvibile antagonismo tra scienza aperta e proprietà intellettuale

Versione 2.0 24 maggio 2021 – Trento LawTech Research Paper series nr. 44, in in Rivista critica del diritto privato, nr. 2/2021 (con il titolo Pandemia e vaccini: scienza aperta o proprietà intellettuale?), (per commenti, critiche e segnalazioni di errori si prega di scrivere a roberto.caso@unitn.it)

Roberto Caso

1. Introduzione

La pandemia ha messo drammaticamente in evidenza che il mondo ha bisogno di cooperare condividendo dati, informazioni, conoscenza.

Le misure di distanziamento sociale hanno accresciuto il ruolo di Internet come strumento per lo svolgimento di attività essenziali come la ricerca scientifica, l’insegnamento nella scuola e nelle università nonché la fruizione del patrimonio culturale.

La scienza aperta si basa sull’idea che la conoscenza si costruisce pubblicamente, in modo democratico e cooperativo. L’Open Access e l’Open Science (OS) non sono mossi dal profitto né dall’ambizione di scalare classifiche che contano le citazioni dei testi scientifici, ma dall’intenzione di far progredire la conoscenza. Nell’epoca della stampa erano libri e riviste che facevano viaggiare le idee. Oggi le idee viaggiano su Internet. Perciò, il diritto umano alla scienza assume la connotazione di diritto umano alla scienza aperta e si relaziona al diritto alla salute e alla vita.

Basterà qui ricordare che la nostra capacità di reazione al virus dipende da un gesto riconducibile alle prassi della scienza aperta: la pubblicazione della sequenza genetica del virus SARS-CoV-2 su archivi ad accesso aperto a inizio gennaio 2020.

Le leggi sui diritti di proprietà intellettuale (DPI) sono pensate, all’opposto, non per cooperare ma per competere al fine di generare profitto. Rispondono alla logica del “vincitore prende tutto” – the winner takes all – e… decide. Il primo che conquista il diritto di esclusiva (monopolio) decide se e a chi concedere l’uso del bene immateriale protetto (l’invenzione industriale o l’opera dell’ingegno). Brevetti per invenzione, diritti d’autore e segreti commerciali costituiscono barriere che impediscono accesso e condivisione della conoscenza.

La proprietà intellettuale è una categoria occidentale, parte integrante del sistema capitalistico, che è stata imposta dall’Occidente al mondo tramite trattati internazionali e altri mezzi di pressione. Sebbene i DPI possano spettare allo Stato, sono pensati, nei sistemi capitalistici, per essere attribuiti o per essere ceduti dal settore pubblico alle imprese. Oggi anche grandi paesi non occidentali, come la Cina, sono diventati entusiasti sostenitori dei diritti di esclusiva sui beni immateriali. Tali diritti di esclusiva sono stati progressivamente rafforzati tanto da avvicinarsi al controllo dei mattoni fondamentali della conoscenza: i dati e le informazioni. Per tornare alle sequenze genetiche, occorre ricordare che nel 2013 la Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Myriad decise di negare la brevettabilità delle sequenze genetiche. Ma in quello stesso paese recenti iniziative legislative hanno tentato di sovvertire il principio stabilito dalla corte. Inoltre, accanto alla proprietà intellettuale in senso stretto vi sono altre forme di controllo esclusivo basate sui contratti e sulla tecnologia. In ambito farmaceutico poi esiste un altro strumento giuridico di controllo privato: si tratta della data exclusivity o market exclusivity sui test clinici che proibisce al produttore di farmaci generici di usare, per un determinato periodo di tempo, i dati dei trials del produttore del farmaco brevettato.

La proprietà intellettuale perciò incombe sul sistema della scienza aperta, determinando il rischio di vanificarne gli sforzi. Condividere dati e informazioni in accesso aperto in un mondo disseminato di proprietà intellettuale distorce le finalità della scienza aperta: da strumento di libertà a meccanismo di asservimento alle logiche della privatizzazione, della mercificazione e della valutazione accentrata, tipiche del capitalismo dei dati. Di più, sulla scienza aperta incombe il controllo delle infrastrutture da parte di grandi entità commerciali. Il sistema delle infrastrutture comunicative della scienza (dalla gestione dei dati fino alla didattica) è saldamente nelle mani delle grandi imprese di analisi dei dati. L’analisi dei dati, unita alle derive che preconizzano la fine del metodo scientifico tradizionale e la sua sostituzione con Big Data e intelligenza artificiale, determina minacce inedite ai principi di libertà e autonomia scientifica.

Questo scritto intende affrontare criticamente il tema della proprietà intellettuale in campo biomedico e sanitario, con particolare riferimento alla questione dell’equa e rapida distribuzione su scala globale dei vaccini anti-COVID-19. La tesi di fondo non è nuova: la scienza aperta è inconciliabile con politiche di estensione e rafforzamento della proprietà intellettuale. Pur non essendo nuova, la tesi merita un approfondimento in relazione al dibattito pubblico in corso e alle scelte politiche nazionali e internazionali. La pandemia ha ampliato in modo esponenziale la portata di tale dibattito prima confinato in circoli accademici.

Innanzitutto vanno passati in rassegna e confutati gli argomenti a favore dei brevetti sui vaccini.

Inoltre, per comprendere le implicazioni del tema, occorre distinguere le politiche della proprietà intellettuale “a monte” da quelle “a valle”.

“Politiche a valle” sono quelle che concernono, ad esempio, le licenze obbligatorie dei brevetti, la sospensione dell’accordo Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS) dell’Organizzazione Mondiale del Commercio o World Trade Organization (WTO) con riferimento ai diritti di proprietà intellettuale su vaccini, farmaci e dispositivi medici, l’attivazione di tutele antitrust, nonché le iniziative internazionali che invitano i detentori della tecnologia alla condivisione volontaria di DPI e know how.

“Politiche a monte” riguardano la distribuzione dei ruoli del settore pubblico e del settore privato, la funzione delle università e degli istituti di ricerca pubblici, la definizione dei confini dei diritti di proprietà intellettuale.

Sebbene molta parte del dibattito sia in questo momento focalizzata sulle politiche a valle, non c’è dubbio che le maggiori debolezze del sistema attengono a scelte riguardanti le politiche a monte. Tali debolezze a monte rendono limitatamente efficaci o ineluttabilmente tardivi interventi a valle (ad es. l’imposizione di licenze obbligatorie sui brevetti). Inutile sottolineare che si ti tratta di debolezze e ritardi che il mondo sta pagando a carissimo prezzo.

In questo tornante della storia, anche se è necessario ed urgente mettere in atto alcune politiche a valle, occorre altresì non perdere l’occasione per ripensare le politiche a monte. Solo ridisegnando le politiche a monte si può sperare di giungere preparati ad altri eventi catastrofici come l’attuale pandemia.

Si prenderà le mosse dalla confutazione degli argomenti a favore di brevetti privati sui vaccini (paragrafo 2), per poi offrire una sintesi del dibattito sulle politiche a valle (paragrafo 3), discutere alcune politiche a monte (paragrafo 4) e infine svolgere alcune conclusioni (paragrafo 5).

2. Argomenti a favore dei brevetti sui vaccini e confutazioni

2.1 Argomento degli incentivi

L’argomento più diffuso e ripetuto a favore dei brevetti sui vaccini è quello degli incentivi. L’invenzione è un’informazione, bene non escludibile e non rivale il cui mercato in regime di concorrenza perfetta è destinato a fallire. I brevetti sono monopoli legali istituiti dallo Stato per consentire all’inventore di praticare prezzi monopolistici. La possibilità di praticare prezzi monopolistici costituisce un incentivo fondamentale. Limitare i brevetti ex post (ad es. con licenze obbligatorie) e a maggior ragione ex ante (ad es. escludendo i vaccini dalla brevettabilità) si tradurrebbe in una drastica diminuzione o azzeramento degli incentivi delle imprese a investire in ricerca futura (ad es. su nuovi vaccini che si rendano necessari per contrastare le varianti del virus). L’argomento si rifà a una delle teorie economiche a favore del brevetto. Solitamente è accompagnato dalla classica retorica anti-statalista che vede l’incentivo del profitto (o l’avidità) come unico motore dell’innovazione. Spesso si sposa anche con una narrativa che predica la rapidità con cui sono stati elaborati i vaccini anti-COVID-19. Nel racconto dei suoi sostenitori, sembrerebbe che l’elaborazione dei vaccini sia un successo innegabile e insperato raggiunto in pochi mesi soprattutto grazie alla ricerca privata. Inoltre, sembrerebbe che proporre un ruolo di maggiore importanza dello Stato nell’elaborazione e nella produzione dei vaccini costituirebbe una sorta di salto nel buio, una pericolosa rivoluzione rispetto a un modello consolidato di innovazione. Infine, l’argomento si muove nell’astrazione metafisica di un libero mercato concorrenziale globale.

L’argomento è debole sotto diversi profili.

Storia. L’uso dei vaccini per sconfiggere le grandi epidemie del passato come il vaiolo e la poliomielite si basa sul coordinamento di sforzi pubblici e privati che prescindono dall’uso di brevetti e proprietà intellettuale. Con riguardo alla poliomielite sono rimaste celebri le prese di posizione di Salk e Sabin contro i brevetti. La stessa rete di monitoraggio mondiale del virus dell’influenza (FluNet del Global Influenza Surveillance and Response System (GISRS)) che consente di mettere a punto ogni anno il vaccino adatto alla variante stagionale si basa sulla scienza aperta e sull’assenza di proprietà intellettuale.

Pubblico e privato. L’argomento sovrastima l’importanza delle imprese e l’incentivo del profitto. L’esempio americano è paradigmatico con riferimento proprio ai vaccini maggiormente innovativi, cioè quelli a mRNA. Il governo degli Stati Uniti ha finanziato la ricerca di base, ha la titolarità, tramite i National Institutes of Health (NIH), di diversi brevetti che costituiscono alcune delle maglie di un’intricata rete di diritti di esclusiva, dispone di meccanismi giuridici per rientrare nel controllo della proprietà intellettuale e ha contribuito finanziariamente alla ricerca sulla produzione dei vaccini (almeno nel caso del vaccino Moderna il finanziamento pubblico sembra nettamente prevalente).

Guadagni e innovazione. L’argomento sostiene che gli extraprofitti monopolistici si traducono automaticamente in investimenti nell’innovazione, mentre è provato che l’industria farmaceutica investe gran parte dei propri guadagni in altre attività che niente hanno a che vedere con l’innovazione (queste attività includono il lobbying presso i decisori pubblici al fine di ottenere leggi e provvedimenti favorevoli ai loro interessi).

Concorrenza e monopolio. L’argomento a favore dei brevetti viene generalmente presentato come pro-concorrenziale, mentre per definizione il brevetto conferisce una posizione monopolistica. La proprietà intellettuale è un monopolio, dunque rappresenta intrinsecamente un second best (nell’universo concettuale del libero mercato la condizione ideale è la concorrenza). Per questo i DPI sono limitati in durata e in ampiezza. Inoltre, nel mercato farmaceutico se ne avvantaggiano generalmente imprese che detengono una posizione di forza sul mercato (c.d. Big Pharma) e che spesso non hanno effettuato direttamente investimenti in innovazione (si giovano cioè di investimenti di altre imprese più piccole, ad es. start up). Insomma, almeno parte dei guadagni non va a chi ha investito in innovazione.

Brevetti e pensiero liberale. L’argomento è ancora più debole quando proviene da voci che si vorrebbero ascrivere al pensiero liberale, poiché quest’ultimo vanta una tradizione risalente e recente marcatamente ostile alla proprietà intellettuale.

Il brevetto come sistema perfetto. L’argomento descrive il sistema brevettuale come un sistema perfetto che premia i veri innovatori (individui o gruppi di individui la cui creatività sarebbe alimentata dal profitto). Mentre è noto che il sistema brevettuale non premia necessariamente i veri innovatori, ma quelli più rapidi nel deposito della domanda di brevetto (sistema del first to file), che il filtro degli uffici brevettuali spesso non funziona e vengono concessi brevetti a invenzioni che non meritano protezione, che gli uffici brevetti e il sistema di controllo giurisdizionale costano molto, che altri costi sono generati dall’incertezza del diritto (quali sono gli esatti confini del bene immateriale?), che i brevetti sono spesso non attuati e usati come potenti armi (ricattatorie) anticoncorrenziali (ad es. patent troll), che il sovraffollamento di DPI sempre più forti e frammentati costituisce un freno e non uno stimolo all’innovazione.

Il rapido e innegabile successo dei vaccini anti-COVID-19. L’argomento, come si è detto, descrive l’attuale produzione vaccinale come un successo. Mentre è evidente che l’attuale sistema, se osservato a livello globale non funziona. Come ripetuto infinite volte, o si vaccina il mondo rapidamente o non si esce dalla pandemia. D’altra parte, se si guarda oltre il COVID-19 si scopre che molte malattie che avrebbero richiesto investimenti nello sviluppo dei vaccini rimangono fuori dal raggio di azione degli incentivi mossi dal profitto. Malattie rare o diffuse in paesi in via di sviluppo sono fuori dal raggio di interesse mosso dal profitto.

2.2 Argomento dell’inutilità

Un secondo argomento a favore dei brevetti sui vaccini attiene all’inutilità di una loro limitazione (licenza obbligatoria), in quanto per produrre non è sufficiente accedere alla descrizione brevettuale, occorre accedere a segreti e know how. Com’è stato rilevato – da Ugo Pagano qui e Andrea Roventini qui – l’argomento si contraddice con quello degli incentivi. Se la limitazione del brevetto non serve a garantire indipendenza di produzione, allora giocoforza non intacca gli incentivi.

La verità è che la semplice limitazione del brevetto (la licenza obbligatoria) non garantisce di per sé l’autonomia produttiva, ma semplicemente la agevola. In altri termini, è condizione necessaria ma non sufficiente. Ciò significa, nell’ottica delle politiche a valle, che non bastano licenze obbligatorie dei brevetti, ma servono anche licenze obbligatorie sui segreti commerciali. Più aumenta il potere di intervenire sulle imprese, più la capacità decisionale e persuasiva dello Stato si accresce. Ovviamente, le licenze obbligatorie sui segreti commerciali, quando esercitate, non garantiscono allo Stato di riprendere il controllo totale della tecnologia, in quanto per entrare in possesso del segreto serve la collaborazione delle persone che lavorano nell’impresa. Tuttavia, rappresentano rilevanti mezzi di pressione.

2.3 Argomento geopolitico

L’argomento geopolitico sostiene che la limitazione dei brevetti e soprattutto il trasferimento di tecnologia avvantaggerebbe non tanto i paesi in via di sviluppo ma giganti come la Cina e l’India che hanno capacità produttiva, ma non hanno la tecnologia occidentale, soprattutto quella americana. In questo modo gli Stati Uniti perderebbero l’ultimo vantaggio tecnologico che rimane loro (quello delle biotecnologie), in quanto su altri fronti, come l’intelligenza artificiale, sarebbero già in affanno. L’argomento ha il pregio di essere schietto. Dà per scontato che non esiste un mercato globale in cui tutti possono partecipare ad armi pari alla competizione in cui vince il migliore e prende tutto. Piuttosto ci si muove in un contesto geopolitico in cui monopoli, barriere all’esportazione e altri mezzi di intervento degli Stati contano. Si tratta dunque di un argomento intrinsecamente anticoncorrenziale e marcatamente anticooperativo. Per ragioni geopolitiche è bene che l’Occidente difenda i suoi monopoli.

La debolezza di questo argomento è nella sua miopia. Per conservare un vantaggio tecnologico si rischia di prolungare all’infinito la pandemia con quel che ne deriva, anche per l’Occidente, in termini di vite umane e perdite economiche.

3. Politiche a valle

In questi mesi il dibattito politico e mediatico ha in gran parte riguardato iniziative come le licenze obbligatorie dei brevetti su farmaci e vaccini, la sospensione dei TRIPS per tutti i mezzi di prevenzione, contenimento e trattamento contro il COVID-19, e iniziative per condividere la tecnologia (anche il know how oggetto del segreto commerciale) alla base dei rimedi.

I margini di operatività di questo tipo di iniziative sono definiti a livello internazionale e nazionale. A livello internazionale rivestono importanza fondamentale i TRIPS del WTO.

Il WTO è la sola organizzazione globale riguardante le regole del commercio tra nazioni. Si basa su accordi (trattati) internazionali. Aderiscono al WTO 164 nazioni, tra le quali i paesi industrializzati. Il suo scopo è favorire il commercio internazionale. Essa non è parte delle Nazioni Unite. Se una nazione membro del WTO viola un trattato, un’altra nazione membro può rivolgersi al WTO che, attraverso un organo del General Council deputato a risolvere le controversie (il Dispute Settlement Body), può irrogare sanzioni. Tuttavia, il WTO non ha il potere di eseguire le sanzioni nello Stato membro. L’applicazione delle sanzioni è affidata agli stessi Stati membri e si basa su misure compensative o sanzioni commerciali (ad es. l’imposizione di dazi).

I TRIPS sono entrati in vigore nel 1995. I TRIPS obbligano gli Stati membri a implementare leggi di tutela dei DPI. In particolare, prevedono alcuni standard minimi di tutela di DPI come i diritti d’autore e connessi, i marchi, le indicazioni geografiche, i disegni industriali, i brevetti per invenzione, i segreti commerciali.

3.1 Licenze obbligatorie

I TRIPS prevedono limiti ai DPI. Tra i meccanismi di limitazione del potere di esclusiva dei DPI vi sono le licenze obbligatorie dei brevetti per invenzione (l’art. 31 TRIPS non parla letteralmente di licenze obbligatorie ma di Other Use Without Authorization of the Right Holder).

I brevetti per invenzione sono diritti di esclusiva territoriali, ovvero riguardano il territorio su cui lo Stato che li ha concessi esercita la sovranità. L’esclusiva riguarda una serie di attività: produrre il bene (nel caso dell’invenzione di prodotto), applicare il procedimento (nel caso dell’invenzione di procedimento), usare, mettere in commercio, vendere o importare. I brevetti vengono concessi sul riscontro da parte di un ufficio statale (ufficio brevetti) di una serie di requisiti: novità, attività inventiva, applicabilità industriale, sufficiente descrizione dell’invenzione.

Il brevetto dura vent’anni dalla data di deposito della domanda, con l’eccezione delle invenzioni farmaceutiche che possono godere di un’estensione temporale fino a ulteriori cinque anni (certificato di protezione complementare).

Il brevetto viene spesso presentato come un’opportuna alternativa – in quanto tale, meritevole di essere fortemente incentivata – al segreto commerciale. Il requisito della sufficiente descrizione serve a garantire che la domanda di brevetto, una volta pubblicata, possa trasmettere al pubblico i contenuti dell’invenzione. Ma la domanda non viene pubblicata immediatamente, bensì dopo la scadenza di un termine (generalmente 18 mesi dopo la sua presentazione all’ufficio brevetti). 18 mesi durante una pandemia come quella attuale sono un’eternità. Inoltre, le tecnologie alla base dei vaccini sono complesse non riguardano un singolo brevetto, ma reti di brevetti collegati l’uno con l’altro che possono essere nella titolarità di diversi soggetti contemporaneamente. Di più, le imprese farmaceutiche usano segreti commerciali e brevetti in modo complementare e non alternativo.

Normalmente la licenza è concessa volontariamente dal titolare del brevetto. La licenza obbligatoria è uno strumento giuridico in mano allo Stato che ha concesso il brevetto per riprendere il controllo decisionale sull’uso dell’invenzione. Con la licenza obbligatoria l’elemento della volontarietà, cioè del consenso del titolare, viene meno: lo Stato obbliga il titolare a concedere la licenza per alcune finalità predeterminate dalla legge. Ad esempio, lo Stato X impone all’impresa Y, titolare del brevetto A, di concedere la licenza all’impresa Z. La licenza obbligatoria non è un esproprio, perché lascia integra la titolarità del diritto di esclusiva, e prevede il pagamento di un equo compenso. Tra le tipologie di licenze obbligatorie figura quella per tutela della salute pubblica.

L’art. 31 dell’accordo TRIPS prevede l’ipotesi della licenza obbligatoria (Other Use Without Authorization of the Right Holder). La norma obbliga gli Stati membri del WTO a disciplinare normativamente l’imposizione della licenza obbligatoria subordinandola a una serie di requisiti molto stringenti, tra i quali vi sono i seguenti:

a) l’autorizzazione all’uso è concessa sulla base di casi specifici (cioè caso per caso e non via generale);

b) l’utente dell’invenzione che intende godere della licenza obbligatoria (nell’esempio: l’impresa Z) deve aver effettuato sforzi – essersi impegnato – per ottenere dal titolare del brevetto una licenza volontaria in base a termini e condizioni ragionevoli e tali sforzi devono essere risultati infruttuosi in un ragionevole periodo di tempo (da questo requisito si può prescindere in casi di emergenza nazionale o in altri casi di estrema urgenza);

c) lo scopo e la durata dell’uso oggetto della licenza devono essere limitati;

d) l’uso deve essere non esclusivo;

e) l’uso non è soggetto ad assegnazione a terzi;

f) l’uso deve riguardare prevalentemente il territorio dello Stato che ha imposto la licenza obbligatoria (in altre parole, il bene prodotto sulla base della licenza obbligatoria non può essere esportato verso altri paesi).

Nel 2001, a seguito delle istanze che venivano dai paesi che avevano difficoltà ad accedere ai farmaci coperti da diritti di esclusiva, la Dichiarazione di Doha ha affrontato il tema del conflitto tra la tutela dei DPI contenuta nei TRIPS e la tutela della salute, in particolare per quanto riguarda la cura di malattie come l’HIV, la malaria e la tubercolosi (la battaglia di Nelson Mandela contro Big Pharma costituisce uno dei capitoli più importanti di questa storia). A proposito delle licenze obbligatorie la Dichiarazione di Doha stabilisce che ciascun paese membro del WTO ha la libertà di concedere licenze obbligatorie e di determinare i presupposti per la concessione. Inoltre, stabilisce che ogni paese membro ha il diritto di determinare le ipotesi che costituiscono emergenza nazionale o altre circostanze di estrema urgenza, specificando che tra queste ipotesi rientrano le epidemie.

Nel 2005 i TRIPS sono stati modificati al fine di inserire l’art. 31-bis. Il requisito dell’uso prevalentemente territoriale della licenza non si applica, in base all’art. 31-bis, alla produzione e alla esportazione di prodotti farmaceutici verso i paesi meno sviluppati o i paesi che per emergenze nazionali o altre condizioni di estrema urgenza abbiano notificato al WTO l’intenzione di avvalersi dell’art. 31-bis.

Per dare attuazione all’art. 31-bis, l’Unione Europea ha emanato il Regolamento (CE) n. 816/2006 concernente la concessione di licenze obbligatorie per brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all’esportazione verso paesi con problemi di salute pubblica.

A differenza di altri paesi – vedi qui e qui – l’Italia non ha una disposizione normativa che disciplini la concessione di licenze obbligatorie dei brevetti per motivi di salute pubblica. Il dato è di per sé sconcertante, anche considerando che recenti tentativi di inserire disposizioni di questo genere non sono andati a buon fine. Lo è ancora di più in tempi di pandemia durante i quali altri grandi paesi si sono affrettati a rafforzare i potere statali di limitazione dei brevetti (si pensi al Canada). Inoltre, alcuni paesi hanno fatto ricorso alle licenze obbligatorie o hanno minacciato di farvi ricorso. La semplice minaccia, infatti, costituisce già uno strumento di pressione verso i detentori privati della tecnologia. L’Italia, peraltro, ha una norma generale – l’art. 141 del codice della proprietà industriale – sull’espropriazione dei diritti di proprietà industriale, che alcuni commentatori ritengono incompatibile con i TRIPS. Va però precisato che il comma 2 stabilisce che:

L’espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie in quanto compatibili.

Di là dalle questioni nominalistiche, un provvedimento di esproprio opportunamente congegnato potrebbe forse funzionare come una licenza obbligatoria. Rimane comunque il fatto che sarebbe opportuno inserire una disposizione sulla licenza obbligatoria per tutela della salute pubblica.

3.2 La sospensione dell’accordo TRIPs

Il 2 ottobre del 2020 India e Sud Africa hanno avviato presso il WTO la procedura per chiedere una sospensione di alcune parti dell’accordo TRIPS. Più precisamente hanno chiesto che il Consiglio dei TRIPS raccomandi, il più presto possibile, al Consiglio Generale del WTO la sospensione (waiver) dell’attuazione, applicazione e tutela delle Sezioni 1 (copyright and related rights; diritti d’autore e connessi), 4 (industrial designs; disegni industriali), 5 (patents; brevetti per invenzione) e 7 (protection of undisclosed information; segreti commerciali) della Parte II dell’accordo TRIPS in relazione alla prevenzione, contenimento e trattamento terapeutico del COVID-19.

Occorre notare con attenzione due aspetti della richiesta di sospensione.

a) La sospensione dell’accordo TRIPS si traduce soltanto nel congelamento del sistema di tutela basato sul WTO (v., ad es., Contreras qui; Sganga qui). Senza sospensione, un’azione di limitazione dei DPI a livello nazionale potrebbe innescare un ricorso di uno Stato membro davanti al WTO e, nel caso di accoglimento per illegittima limitazione dei DPI, l’irrogazione di sanzioni che, come si è detto, dipendono in ultima istanza da misure da prendere a livello di Stati membri. In altri termini, la sospensione costituisce solo una premessa per azioni di limitazione – ad es., l’emanazione di provvedimenti statali che impongono licenze obbligatorie – che vanno prese a livello di singolo Stato membro.

b) La richiesta di India e Sud Africa non riguarda solo i brevetti sui vaccini ma un’ampia gamma di DPI compreso il segreto commerciale in relazione a tutto quello che serve a contrastare la pandemia (kit diagnostici, mascherine, ventilatori, farmaci, vaccini ecc.). Con riferimento ai vaccini, se la sospensione fosse attuata nei termini richiesti da India e Sud Africa, uno Stato membro potrebbe non solo limitare i brevetti sui vaccini mediante licenza obbligatoria, senza dover rispettare tutti i requisiti previsti dall’art. 31 dei TRIPS, ma potrebbe anche imporre la licenza obbligatoria dei segreti commerciali, che rivestono un’importanza fondamentale nella produzione. Soprattutto, la sospensione potrebbe facilitare nei paesi a basso reddito l’importazione della tecnologia.

Molti paesi hanno appoggiato la richiesta di India e Sud Africa, ma per mesi il blocco occidentale – con gli USA, il Regno Unito e l’UE in testa – si è opposto alla sospensione, nonostante un vastissimo movimento di opinione pubblica, alimentato da numerose iniziative (ad es. qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui) e prese di posizione pubblica, comprese quelle di Papa Francesco (vedi: qui e qui).

La possibilità di rivalutare la richiesta in sede WTO è stata riaperta dall’amministrazione Biden, attraverso una dichiarazione di Katherine Tai dell’Office of the U.S. Trade Representative rilasciata il 5 maggio 2021.

La dichiarazione premette che l’amministrazione Biden crede fermamente nella tutela della proprietà intellettuale, ma allo scopo di porre fine alla pandemia, sostiene la richiesta di sospensione dei DPI sui vaccini anti-COVID-19. L’oggetto della dichiarazione è molto più circoscritto rispetto alla richiesta di India e Sud Africa che riguarda tutti i mezzi di prevenzione, contenimento e trattamento terapeutico del COVID-19.

L’apertura dell’amministrazione americana è stata accolta in modo contrastante.

In questa sede occorre rilevare che il processo per rendere operativa la sospensione è lento e macchinoso. Inoltre, occorrerà osservare le mosse del governo americano per capire se è effettivamente disposto a condividere la tecnologia delle sue agenzie, delle sue università e delle sue imprese.

In ogni caso, la sospensione per essere efficace deve corrispondere a legislazioni nazionali che diano ampi margini di potere nell’attuazione di licenze obbligatorie su brevetti e segreti commerciali.

4. Politiche a monte

4.1 Il rafforzamento della proprietà intellettuale nell’Unione europea e in italia in tempi di pandemia

La tesi di questo scritto – si ricorderà – è che la scienza aperta è incompatibile con politiche di rafforzamento della proprietà intellettuale. Sebbene, l’Unione Europea cerchi di accreditarsi come promotrice dell’Open Science, sta di fatto che la sua politica in materia di proprietà intellettuale è univocamente puntata al rafforzamento dei diritti di esclusiva. Il bilanciamento tra proprietà intellettuale e altri diritti fondamentali è perciò affidato alla contraddittoria giurisprudenza della Corte di Giustizia oltre che al diritto degli Stati Membri.

In tempi di pandemia la politica di rafforzamento continuo dei DPI risulta ancor più incomprensibile. A dispetto di un movimento di opinione imponente, che vede crescere la cerchia degli accademici inclini a chiedere un ripensamento complessivo della proprietà intellettuale, la Commissione Europea sembra impermeabile al dibattito pubblico. L’ultima riprova di questo atteggiamento si rinviene nell’Action Plan sui diritti di proprietà intellettuale di supporto alla strategia di ripresa e resilienza del 25 novembre 2020. Il documento è un florilegio di affermazioni come le seguenti:

“The COVID-19 crisis has illustrated EU’s dependence on critical innovations and technologies, and reminded Europe of the importance of effective IP rules and tools to secure a fast deployment of critical IP. IPRs, and their role in a competitive and innovative European pharmaceutical industry, are also part of the new Pharmaceutical Strategy for Europe”. 

E ancora:

“[…] this action plan identifies five key focus areas, with specific proposals for action to:

upgrade the system for IP protection,

incentivise the use and deployment of IP, notably by SMEs,

facilitate access to and sharing of intangible assets while guaranteeing a fair return on investment,

ensure better IP enforcement, and

improve fair play at global level”

Il paragrafo 4 del documento si intitola “Easier access to and sharing of IP-protected assets”. La facilitazione dell’accesso e della condivisione della tecnologia protetta da DPI si basa sulle seguenti azioni.

“To facilitate licensing and sharing of IP, the Commission will:

-ensure the availability of critical IP in times of crisis, including via new licensing tools and a system to co-ordinate compulsory licensing (2021-22),

-improve transparency and predictability in SEP [Standard-essential patents] licensing via encouraging industry-led initiatives, in the most affected sectors, combined with possible reforms, including regulatory if and where needed, aiming to clarify and improve the SEPs framework and offer effective transparency tools (Q1 2022).

-promote data access and sharing, while safeguarding legitimate interests, via clarification of certain key provisions of the Trade Secrets Directive and a review of the Database Directive (Q3 2021)”.

Alle parole della Commissione fanno eco quelle del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) nelle “Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023 aperte alla consultazione pubblica fino al 31 maggio.

Afferma il MISE:

“[…] i diritti di proprietà industriale (DPI) rivestono un ruolo cruciale poiché consentono di proteggere le idee, le opere e i processi frutto dell’innovazione, assicurando un vantaggio competitivo a chi li ha ideati; aprono la possibilità di valorizzare l’innovazione acquisendo nuovi mercati e offrono la possibilità di continuare ad investire sul futuro”.

Dunque:

“Accogliendo lo specifico invito della Commissione [UE], il documento delinea la strategia e gli interventi nazionali per rispondere a cinque sfide individuate per rafforzare la protezione e l’applicazione della PI, garantendo uno sforzo congiunto per la ripresa economica:

–  migliorare il sistema di protezione della PI

–  incentivare l’uso e la diffusione della PI, in particolare da parte delle PMI

–  facilitare l’accesso ai beni immateriali e la loro condivisione, garantendo nel contempo un equo rendimento degli investimenti

–  garantire un rispetto più rigoroso della proprietà industriale

–  rafforzare il ruolo dell’Italia nei consessi europei ed internazionali sulla proprietà industriale”.

Rimarchevole la visione sulla proprietà industriale delle università e degli enti di ricerca:

“Ulteriore elemento che appare non consentire un’agevole connessione tra il sistema della ricerca e il mondo delle imprese è il livello di maturità tecnologica dei brevetti proposti, troppo spesso insufficiente per poter essere percepito come interessante dagli imprenditori. Sotto questo profilo l’obiettivo da perseguire è quello di mettere a disposizione delle imprese invenzioni maggiormente “comprensibili” e quindi in uno stato quasi, se non, prototipale.

Per innalzare il livello di maturità delle invenzioni brevettate dai soggetti appartenenti al mondo della ricerca pubblica affinché possano diventare oggetto di azioni di sviluppo da parte del sistema imprenditoriale, il Ministero propone di replicare, adeguandolo ad eventuali nuove esigenze che si dovessero manifestare, il bando già emanato nel 2020 per il finanziamento di progetti di proof of concept capaci, a seguito della loro realizzazione, di mettere a disposizione per la successiva valorizzazione veri e propri prototipi. Ad oggi sono stati finanziati 23 progetti (dei 45 ritenuti ammissibili) utilizzando interamente i 5,3 milioni di euro di risorse finanziarie disponibili”.

Un dubbio sorge spontaneo di fronte a queste affermazioni. Se la ricerca pubblica deve presentare al mercato invenzioni mature, dove sta l’innovazione del mercato? Ad esempio, nel campo dei vaccini se un’università pubblica elabora una tecnologia vaccinale matura, in base a cosa si giustifica la sua cessione al settore privato?

Ma il passaggio che evidenzia maggiormente lo sguardo largo e profondo del MISE su proprietà industriale e tutela della salute pubblica è il seguente:

“Nel suo Piano di azione la Commissione UE ricorda che “L’accordo dell’OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) prevede la possibilità, alle condizioni ivi specificate, di rilasciare licenze obbligatorie, ossia stabilisce che la pubblica amministrazione ha il potere di autorizzare un soggetto a usare un’invenzione brevettata senza il consenso del titolare del brevetto. La procedura può essere accelerata in caso di emergenza nazionale. Dal combinato disposto di tali norme con la dichiarazione di Doha sull’accordo TRIPS e la salute pubblica emerge chiaramente che ogni membro dell’OMC ha non solo il diritto di concedere licenze obbligatorie, ma anche la libertà di determinare i motivi in base ai quali tali licenze sono concesse”.

Sul punto, l’Amministrazione intende verificare la possibilità di introdurre nell’ordinamento nazionale strumenti specifici in grado di far fronte tempestivamente a situazioni di crisi, come quelle sanitarie; l’obiettivo da perseguire è quello di privilegiare accordi volontari in grado di contemperare gli interessi legittimi dei detentori delle privative industriali con quelli generali della collettività, ricorrendo al rilascio di licenze obbligatorie solo in caso di fallimento di qualunque altro tentativo”.

4.2. Pubblico e privato nel contrasto alle epidemie e alle pandemie

Il mondo è arrivato impreparato alla sfida di una produzione e distribuzione rapida ed equa di vaccini antipandemici su scala globale.

Serve ripensare il sistema a monte restituendo un ruolo di primo piano al settore pubblico e coordinando le azioni statali dei singoli paesi. La proprietà intellettuale è solo uno dei tasselli di questa strategia. Ma è un tassello importante. Come si è cercato di dimostrare, interventi a valle sono necessari, ma insufficienti.

Da questo punto di vista, è stato giustamente ricordato che le attuali pratiche di scienza aperta si basano essenzialmente sui pochi spazi di libertà lasciati liberi dai diritti di esclusiva e soprattutto sull’uso degli stessi diritti di esclusiva allo scopo di diffondere la conoscenza. Tuttavia, l’uso di licenze aperte come la GNU General Public License (GPL) e delle Creative Commons Licenses (CCLs), nonché il tentativo di estendere le licenze aperte al campo brevettuale non è sufficiente a costruire un ecosistema aperto della conoscenza.

Per costruire tale sistema occorre almeno:

a) Riformare le leggi sulla proprietà intellettuale;

b) Restituire al settore pubblico il controllo delle infrastrutture strategiche e contemporaneamente fare in modo che quelle lasciate in mano privata non siano concentrate nelle mani di pochi (cioè attivare un’efficace tutela dell’antitrust).

“Almeno” perché la complessità del problema richiede interventi giuridici da molteplici prospettive.

In questa sede ci si limita a indicare alcune possibili opzioni sul piano delle leggi in materia di proprietà intellettuale e di esclusiva dei dati clinici, nonché delle politiche universitarie in materia di proprietà intellettuale (c.d. trasferimento tecnologico).

4.3 Brevetti e segreti su farmaci e vaccini. Esclusiva sui dati clinici

Occorre riformare i trattati internazionali e le leggi nazionali per dare prevalenza al diritto alla scienza aperta, alla salute e alla vita sulla proprietà intellettuale.

Le opzioni di politica legislativa per dare concretezza a tali riforma sono molte. Qui se ne possono segnalare alcune in riferimento a tutte le conoscenze e le tecnologie utili alla produzione di farmaci, vaccini e dispositivi essenziali per la tutela della salute e della vita.

a) Sottrarre i beni essenziali alla brevettabilità e alla tutela del segreto commerciale. Abrogare l’esclusiva sui dati clinici. La sottrazione al controllo esclusivo può essere sostituita da altri meccanismi come i premi agli innovatori o le innovazioni che provengono da università e centri di ricerca finanziati con fondi pubblici delegando i test clinici a istituzioni pubbliche (vedi, ad es., qui).

b) Dare solo al settore pubblico il diritto di brevettare, specificando che l’uso in via diretta o mediante licenze d’uso non esclusive a imprese private sia finalizzato alla distribuzione equa dei beni essenziali.

4.4 Università, enti o istituti pubblici di ricerca e proprietà intellettuale

La finalità della ricerca pubblica non dovrebbe essere quella di brevettare, ma di praticare la scienza aperta. Il dirottamento verso logiche di privatizzazione della conoscenza si declina non solo nelle politiche e nella disciplina legislativa della proprietà intellettuale, ma anche nei sistemi di valutazione.

Ad esempio, in Italia la valutazione amministrativa di Stato, gestita da un’agenzia governativa che opera in base al potere della spada e non della bilancia, considera i brevetti universitari alla stregua di pubblicazioni scientifiche al fine di attribuire “punti” valutativi nelle molteplici classifiche che dovrebbero determinare la migliore ricerca delle migliori strutture e dei migliori scienziati. Ovviamente, negli algoritmi valutativi conta anche (e soprattutto) il numero dei c.d. “prodotti della ricerca”. Un elevato numero di brevetti può dunque tradursi in maggiori opportunità di scalare la classifica di turno.

Un altro esempio. Nella politica di Open Access dell’Unione Europea relativa ai programmi quadro di ricerca il brevetto viene visto come alternativa alla pubblicazione in Open Access. L’idea che c’è dietro questa equiparazione è che anche il brevetto è destinato a essere pubblicato (normalmente, come si è detto, dopo 18 mesi dalla domanda presso l’ufficio competente) e dunque sarebbe uno strumento di apertura della scienza. Ma questa idea, fintamente ingenua del brevetto, trascura il fatto che la descrizione del contenuto dell’invenzione è operata tatticamente dal richiedente e che queste tattiche interagiscono con le prassi degli uffici brevetti e delle corti che controllo l’operato degli uffici brevetti. In altre parole, solo se l’ufficio brevetti applica criteri rigorosi con riferimento alla descrizione dell’invenzione, allora il brevetto trasmette conoscenza, altrimenti lascia spazio al segreto commerciale (nel brevetto si descrive il minimo necessario a soddisfare formalmente il requisito di legge, ma la parte sommersa del know how viene controllata mediante segreto). L’esempio dei vaccini, come rilevato da molti, dimostra che il brevetto descrive solo una parte degli elementi utili alla produzione. Dunque, l’equiparazione tra brevetto e pubblicazione scientifica è fallace.

In Italia, a parte l’oscura vicenda Reithera, durante la pandemia si sono susseguiti annunci di università pubbliche connessi alla possibile scoperta di un nuovo vaccino “italiano” (vedi, ad es., qui e qui). Al di là della fondatezza scientifica e tecnologica degli annunci, spesso rivelatisi dei meri ballon d’essai per sondare finanziatori e imprese, rimangono pesanti dubbi di fondo.

Se un’università pubblica brevetta un vaccino lo fa per cedere in esclusiva i diritti a un’impresa? O lo fa per concedere licenze non esclusive a più imprese? Solo italiane o anche estere? Solo a imprese o entità pubbliche di paesi a basso reddito? In base a quale politica di gestione del vaccino? La politica di gestione del brevetto non deve essere decisa a monte?

In Italia il tentativo entusiastico e superficiale di imitare le politiche americane di trasferimento tecnologico basate sul Bayh-Dole Act del 1980 – che consente ai soggetti finanziati con fondi pubblici federali di brevettare le invenzioni elaborate a seguito del finanziamento, e soprattutto sul sistema di interfaccia tra università e imprese – ha fatto trascurare gli effetti collaterali di un’estesa brevettazione della ricerca pubblica. Il mantra del trasferimento tecnologico basato sui brevetti e altri DPI come pietra filosofale che trasformerebbe magicamente la ricerca di base in innovazione ha sottostimato le ricadute in termini di riduzione degli spazi di manovra delle norme sociali, della prassi e della mentalità della scienza aperta. Nonostante, la letteratura critica venga soprattutto dagli Stati Uniti, anche in riferimento alla questione della ricerca sui vaccini finanziata con fondi pubblici, i policy maker italiani hanno continuato a narrare il trasferimento tecnologico da università a imprese basato sui DPI come un strumento decisivo per risollevare un paese afflitto da un cronico ritardo sul piano dell’innovazione tecnologica (si vedano a mo’ di ultimo esempio le “Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023 sopra citate) .

Ammesso (e non concesso) che questa narrazione corrisponda alla realtà, si può seriamente sostenere che possa valere per vaccini e altri farmaci essenziali?

Quale che sia la scelta a monte dei policy maker residua, grazie all’art. 33 Cost., a ogni istituzione pubblica di ricerca un margine di libertà e di scelta. Insomma, si può scegliere ancora di avere una politica di scienza aperta e di non brevettazione dei risultati della ricerca.

In Italia è il caso dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri presieduto da Silvio Garattini.

Nella pagina web dedicata all’argomento si intitola: “Perché non brevettiamo le nostre ricerche“.

Vale la pena riprendere alcune importanti affermazioni contenute nella pagina.

Perché quindi rimanere oggi al di fuori della impostazione brevettistica?

Lo facciamo soprattutto per essere liberi. Liberi nell’orientamento e nella selezione dei temi di ricerca. Se invece l’obiettivo fosse il brevetto e il suo sfruttamento, sarebbe inevitabile orientarsi verso ricerche economicamente sfruttabili.

LIBERTÀ DA CONFLITTI DI INTERESSE

Scegliere di non brevettare le proprie scoperte evita di cadere in un conflitto di interesse. Inevitabilmente essere titolari di un brevetto spinge a promuovere e difendere in ogni modo il proprio prodotto. Se per esempio si tratta di un farmaco può indurre a una valutazione del  rapporto fra benefici e rischi non sempre obiettiva.

LIBERTÀ DI CRITICA

Se il brevetto arriva a realizzare un farmaco – cosa poco frequente – è difficile essere oggettivi. La vendita del farmaco comporta royalties e il tentativo di massimizzarle diventa inevitabile. Inoltre, molti ricercatori hanno funzioni consultive, a loro possono essere richiesti pareri da parte delle autorità regolatorie o del Servizio Sanitario Nazionale. Come potranno essere distaccati nel giudizio nei confronti del loro farmaco o dell’azienda che lo produce oppure nei confronti dei prodotti concorrenti il cui successo rischia di far diminuire le royalties?

LIBERTÀ DI COMUNICARE

La realizzazione di brevetti richiede confidenzialità, segreto, mentre la scienza, in particolare quella biomedica, deve essere aperta e trasparente. La pubblicazione dei propri risultati può avere conseguenze inimmaginabili, può cambiare il corso delle ricerche di altri gruppi di ricercatori ed essere così punto di partenza per altre scoperte. I ricercatori hanno il dovere di dare informazioni corrette al pubblico attraverso i mass media, e quindi devono essere liberi di non avere remore o sottacere:

·      quando la comunicazione dei produttori dei farmaci eccede nel promuoverne gli effetti favorevoli o minimizza quelli dannosi,

·      quando si promettono inverosimili successi,

·      quando il costo dei farmaci è sproporzionato e insostenibile.  

È augurabile quindi che i ricercatori e i loro istituti siano scevri dal sospetto di avere interessi economici, in modo da fugare ogni dubbio da parte di chi viene informato.  Se si è privi di interessi diretti è più facile essere obiettivi.

LIBERTÀ DI COLLABORARE

In un mondo che richiede sempre più collaborazioni multidisciplinari con altre istituzioni è più facile interagire quando la collaborazione non nasconde la possibilità di utilizzare le idee degli altri per ottenere vantaggi per i propri brevetti.

In conclusione, non mettiamo in discussione l’importanza che l’industria tuteli i propri prodotti con il brevetto, ma suggeriamo che nella collaborazione tra industria e accademia ciascuno mantenga chiaro il proprio ruolo e il proprio profilo etico. Tra industria e accademia è necessario instaurare un reale interesse scientifico, che sia complementare fra le due parti, evitando strumentalizzazioni propagandistiche. Le istituzioni scientifiche non devono accettare fondi per ricerca che in realtà mascherino la richiesta di un supporto in altre direzioni.

Mantenere un’istituzione di ricerca in equilibrio costante fra la necessità di trovare risorse per fare ricerca, senza rinunciare alla propria libertà, alla dignità, allo spirito critico, è impresa difficile e complicata. Soprattutto in Italia, dove i fondi pubblici sono scarsi e male utilizzati. È quindi opportuno che l’opinione pubblica impari a distinguere fra chi cura interessi personali e chi si occupa di interessi della comunità, per non far mancare il suo sostegno a questi ultimi.

Dunque, non è peregrino immaginare un vaccino libero e aperto. Se un’istituzione finanziata con fondi pubblici decidesse di pubblicare la tecnologia vaccinale distruggerebbe il requisito della novità dell’invenzione impedendo ad altri di brevettare. Ovviamente, quel che succede dopo la brevettazione dipende sempre dal diritto e da come viene interpretato. Come si è già rilevato, praticare la scienza aperta in un campo minato (un contesto giuridico) disseminato di esclusive è difficile. L’alternativa, anch’essa da sperimentare e da verificare, è usare la proprietà intellettuale per rendere un eventuale nuovo vaccino un bene comune. Cioè di fare ricorso alla logica della GNU General Public License e delle Creative Commons applicandola alle biotecnologie.

5. Conclusioni

La vicenda della proprietà intellettuale sui vaccini è una pagina di un capitolo alquanto esteso della storia dell’arretramento del settore pubblico in un territorio – quello di infrastrutture, beni e servizi essenziali – di fondamentale importanza per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità.

Quel capitolo narra molte altre vicende relative, ad esempio, al software, alle pubblicazioni e ai dati scientifici, al patrimonio culturale, all’agricoltura e alle sementi. In tutti questi settori l’arretramento del settore pubblico o una sua diversa concezione che lo modella sulla forma del (o lo mischia con il) settore privato votato al profitto, ha comportato il sacrificio dell’interesse generale di tutti a favore degli interessi particolari di pochi.

Ciò non significa necessariamente che lo Stato non sia presente nelle scelte decisive, significa solo che le logiche di profitto, di competizione e di dominio si sostituiscono a quelle di progresso, cooperazione e solidarietà. Il caso degli Stati Uniti è paradigmatico da questo punto di vista.

Perciò, la questione dei vaccini rimane geopolitica. L’irrisolvibile antagonismo tra scienza aperta e proprietà intellettuale non descrive solo la contrapposizione tra opposte concezioni del ruolo del settore pubblico, ma anche opposte concezioni di come usare sul piano internazionale l’immenso potere che proviene dalla conoscenza e dalla tecnologia.

La scienza dopo la pandemia sarà migliore? La risposta a questa domanda dipende da scelte che vanno prese adesso. L’importante è evitare le ambiguità, chiarire il significato delle parole come scienza aperta e proprietà intellettuale, e assumersi la responsabilità delle proprie scelte.

Riferimenti

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C. Anderson, The End of Theory: The Data Deluge Makes the Scientific Method Obsolete, Wired, 27 giugno 2008

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Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Perché non brevettiamo le nostre ricerche

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WTO, Council for Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, Waiver from Certain Provisions of the TRIPS Agreement for the Prevention, Containment and Treatment of COVID-19 – Communication from India and South Africa, IP/C/W/669, 2 Oct. 2020

La ricerca sui vaccini tra brevetti e accesso aperto alla conoscenza scientifica

Università degli Studi di Perugia

Dipartimento di Giurisprudenza
Dottorato di Ricerca in Scienze Giuridiche XXXVI ciclo

9 marzo 2021

Lezione: slide disponibili anche su Zenodo

Letture:

R. Caso, Vaccini: proprietà di pochi o bene comune dell’umanità?, in Frammenti di un discorso pubblico, 8 febbraio 2021

R. Caso, F. Binda, Il diritto umano alla scienza aperta, Trento LawTech Research Papers, n. 41, Trento, Università degli studi di Trento, settembre 2020

R. Caso, La scienza non sarà più la stessa. Più condivisione, cooperazione e solidarietà dopo il Covid-19?, Trento LawTech Research Papers, nr. 39, Trento, Università degli studi di Trento, 2020, BioLaw Journal, v. 2020, n. 1s (2020), p. 617-622

R. Caso, La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e proprietà intellettuale, Milano, Ledizioni, 2020

R. Caso, La commercializzazione della ricerca scientifica pubblica: regole e incentivi, in R. Caso (cur.), Ricerca scientifica pubblica, trasferimento tecnologico e proprietà intellettuale, Il Mulino, Bologna, 2005, 9

Documentazione sul dibattito relativo a open science, proprietà intellettuale e COVID-19

AISA: Lettera aperta al presidente del consiglio e ai ministri della salute e dell’università e ricerca

18 febbraio 2021: lettera aperta dell’AISA su vaccini anti-COVD-19 e brevetti

Lettera aperta al Presidente del Consiglio, Prof. Mario Draghi, alla Ministra dell’Università e della Ricerca, Prof. Cristina Messa, al Ministro della Salute, On. Dott. Roberto Speranza

Proposta per una vaccino anti-COVID-19 pubblico e aperto

Trento, 18 febbraio 2021


Caro Presidente, cari Ministri,
L’AISA indirizza al Governo una proposta che si articola nei seguenti sei punti.

1. Cooperazione invece di competizione

Notizie di stampa riferiscono di centri di ricerca italiani che stanno studiando l’elaborazione di un nuovo vaccino anti-COVID-19. Alcuni di questi centri appartengono a università o enti di ricerca pubblici che fanno capo allo Stato e sono finanziati dal contribuente. In una situazione pandemica, continuare a costringerli a reinventare la ruota in nome del culto del brevetto e della competizione intestina non è soltanto inefficiente: è letale. Occorre trovare il modo di farli cooperare, nell’interesse dell’Italia e dell’umanità.

2. Un vaccino libero

Qualche giorno fa il Ministero dell’università ha pubblicato il Programma Nazionale per la Ricerca 2021-2027, che contiene anche alcune dichiarazioni a favore della scienza aperta (§ 3.5.1). In un paese in cui il dire è sempre stato più facile del fare, università ed enti di ricerca potrebbero finalmente essere incoraggiati a collaborare per mettere a disposizione di tutti – di tutti gli italiani e di tutti gli esseri umani – le conoscenze e le tecnologie necessarie a produrre un nuovo vaccino, in una concorrenza leale, sui principi ancor prima che sui prodotti, con le multinazionali del farmaco che, grazie ai brevetti, hanno potuto costruire un sistema fondato su un’artificiale – e mortale – scarsità.

3. Finanziamento pubblico e donazioni civiche

Il finanziamento di questa ricerca potrebbe basarsi su fondi statali – per esempio del MUR e del Ministero della Salute – e sul contributo volontario dei cittadini, italiani e no.

Una simile iniziativa può sperare di avere successo solo se le sue regole di base sono chiare e pubbliche, perché pensate allo scopo di garantire, con una sorta di patto fra cittadinanza e ricerca, che da ciò che è pubblico e liberalmente donato si ottenga qualcosa che sia destinato a rimaner pubblico e liberalmente donato. Questa donazione da parte della rete della ricerca pubblica e dei cittadini che la finanziano direttamente e indirettamente non salverebbe soltanto le vite di pazienti ricchi e poveri, italiani e no, ma metterebbe a disposizione delle imprese italiane e del mondo le conoscenze e la tecnologia relativa al nuovo, e libero, vaccino.

4. Collaborazione tra stato e imprese

Le imprese italiane potrebbero essere le prime a produrre il vaccino sia perché si gioverebbero di conoscenze e tecnologie geograficamente prossime, sia perché potrebbero approfittare del contributo del resto del mondo, costruito sulla loro conoscenza condivisa. Moderna ha scelto di sospendere unilateralmente e senza impegno le azioni giudiziarie a tutela dei propri brevetti allo scopo di trar vantaggio dall’inventiva altrui. Offrire però al resto del mondo la possibilità di sperimentare e contribuire a conoscenze e tecnologie legalmente aperte invece che solo provvisoriamente e arbitrariamente libere e potenzialmente costose sarebbe, di nuovo, una concorrenza morale, e non soltanto leale.

5. Strumenti giuridici

Gli strumenti giuridici per attuare i 4 principi sopra elencati non mancano. Una delle opzioni disponibili è la cosiddetta pubblicazione difensiva, cioè la pubblicazione di tutte le informazioni riguardanti la tecnologia alla base del vaccino. La pubblicazione difensiva, senza imporre ulteriori costi, distrugge la novità dell’invenzione e impedisce a tutti di brevettarla. L’esempio della rete mondiale alla base della distribuzione dei vaccini anti- influenzali dimostra che si possono concepire e attuare opportune misure organizzative e giuridiche volte a garantire il funzionamento della Scienza Aperta nel campo della tutela della salute.

Questa proposta permetterebbe di far uso di norme che già esistono per evitare che, con una sindemia – dovuta alla concomitanza dei problemi sanitari, economici e sociali – in atto, l’interesse di pochi monopolisti continui a prevalere sul diritto di tutti alla salute e alla conoscenza.

6. Licenze obbligatorie

È auspicabile che in tempi rapidissimi si proceda all’inserimento nel decreto legislativo, 10 febbraio 2005 n. 30 (codice della proprietà industriale) di una disposizione normativa sulle licenze obbligatorie nella materia della tutela della salute pubblica. Tra i grandi paesi europei, l’Italia è l’unica a non essersi dotata dello strumento delle licenze obbligatorie previste dall’art. 31 dei Trade Related Intellectual Property Rights (TRIPs). La recente proposta di legge n. 4149 (2016) della XVII legislatura si muoveva in questa direzione.

Cordiali saluti,

Il Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA)

Silvia Bello (Università del Piemonte Orientale) Stefano Bianco (INFN, Laboratori Nazionali di Frascati) Roberto Caso (Università di Trento)
Emanuele Conte (Università Roma Tre)
Giovanni Destro Bisol (La Sapienza, Roma)
Ilaria Fava (Göttingen State and University Library) Paola Galimberti (Università di Milano)
Enrico Pasini (Università di Torino)
Maria Chiara Pievatolo (Università di Pisa)

Per un vaccino anti Covid-19 aperto a tutti

Proposta dell’AISA, 14 febbraio 2021

1. Cooperazione invece di competizione

Notizie di stampa riferiscono di centri di ricerca italiani che stanno studiando l’elaborazione di un nuovo vaccino anti-COVID-19. Alcuni di questi centri appartengono a università o enti di ricerca pubblici che fanno capo allo Stato e sono finanziati dal contribuente. In una situazione pandemica, continuare a costringerli a reinventare la ruota in nome del culto del brevetto e della competizione intestina non è soltanto inefficiente: è letale. Occorre trovare il modo di farli cooperare, nell’interesse dell’Italia e dell’umanità.

2. Un vaccino libero

Qualche giorno fa il ministero dell’università ha pubblicato il Programma nazionale per la Ricerca 2021-2027, che contiene anche alcune dichiarazioni a favore della scienza aperta (§ 3.5.1). In un paese in cui il dire è sempre stato più facile del fare, università ed enti di ricerca potrebbero finalmente essere incoraggiati a collaborare per mettere a disposizione di tutti – di tutti gli italiani e di tutti gli esseri umani – le conoscenze e le tecnologie necessarie a produrre un nuovo vaccino, in una concorrenza leale, sui principi ancor prima che sui prodotti, con le multinazionali del farmaco che, grazie ai brevetti, hanno potuto costruire un sistema fondato su un’artificiale – e mortale – scarsità.

3. Finanziamento pubblico e donazioni civiche

Il finanziamento di questa ricerca potrebbe basarsi su fondi statali – per esempio del MUR e del Ministero della Salute – e sul contributo volontario dei cittadini, italiani e no.

Una simile iniziativa può sperare di avere successo solo se le sue regole di base sono chiare e pubbliche, perché pensate allo scopo di garantire, con una sorta di patto fra cittadinanza e ricerca, che da ciò che è pubblico e liberalmente donato si ottenga qualcosa che sia destinato a rimaner pubblico e liberalmente donato. Questa donazione da parte della rete della ricerca pubblica e dei cittadini che la finanziano direttamente e indirettamente non salverebbe soltanto le vite di pazienti ricchi e poveri, italiani e no, ma metterebbe a disposizione delle imprese italiane e del mondo le conoscenze e la tecnologia relativa al nuovo, e libero, vaccino.

4. Collaborazione tra stato e imprese

Le imprese italiane potrebbero essere le prime a produrre il vaccino sia perché si gioverebbero di conoscenze e tecnologie geograficamente prossime, sia perché potrebbero approfittare del contributo del resto del mondo, costruito sulla loro conoscenza condivisa. Moderna ha scelto di sospendere unilateralmente e senza impegno le azioni giudiziarie a tutela dei propri brevetti allo scopo di trar vantaggio dall’inventiva altrui. Offrire però al resto del mondo la possibilità di sperimentare e contribuire a conoscenze e tecnologie legalmente aperte invece che solo provvisoriamente e arbitrariamente libere e potenzialmente costose sarebbe, di nuovo, una concorrenza morale, e non soltanto leale.

5. Strumenti giuridici

Gli strumenti giuridici per attuare i 4 principi sopra elencati non mancano. Una delle opzioni disponibili è la cosiddetta pubblicazione difensiva, cioè la pubblicazione di tutte le informazioni riguardanti la tecnologia alla base del vaccino. La pubblicazione difensiva, senza imporre ulteriori costi, distrugge la novità dell’invenzione e impedisce a tutti di brevettarla. L’esempio della rete mondiale alla base della distribuzione dei vaccini anti-influenzali dimostra che si possono concepire e attuare opportune misure organizzative e giuridiche volte a garantire il funzionamento della Scienza Aperta nel campo della tutela della salute.

Questa proposta permetterebbe di far uso di norme che già esistono per evitare che, con una sindemia in atto, l’interesse di pochi monopolisti continui a prevalere sul diritto di tutti alla salute e alla conoscenza.

Why dying for a patent? Compulsory licenses, contract transparency, public health

AISA statement,  4 February 2021

Why dying for a patent? Compulsory licenses, contract transparency, public health

Posted on , updated on  by Maria Chiara Pievatolo

To tackle the Covid-19 pandemic, we need Open Science more than ever. Humanity can only hope to quickly overcome the crisis it is facing by sharing worldwide the knowledge and technologies needed to produce vaccines, drugs and medical devices.

Many voices have been raised against the unfair grabbing of vaccines and drugs by rich countries to the detriment of the poor ones. Others have pointed out that pharmaceutical companies are able to dictate the time and mode of vaccination campaigns even in the wealthy West where they have their headquarters. Their power is even more surprising if we take into account that they enjoy direct funding from governments and benefit from the results of basic research supported by public money.

The TRIPS agreement (Trade Related Intellectual Property Rights, art. 31 bis) entitles states, in emergency situations, to enforce compulsory licenses on private patent holders so that other companies can produce generic versions of the patented drugs and vaccines, not without paying them a royalty.
We need, at least, two urgent legislative actions:

  1. in Italy, a regulatory provision on compulsory licensing in the field of public health protection should be included in the legislative decree, February 10, 2005 n. 30 (industrial property code);
  2. in the European Union, legislation should be introduced to require the disclosure and transparency of contracts signed by the European Union and its Member States for the supply of vaccines.

AISA urges the lawmakers to fill these critical gaps, which are all the more inexplicable as they concern measures compatible with and contemplated by the current international system of intellectual property.

I saperi del dottorando e la comunicazione della scienza 2020-2021

Lezione 1 – Il diritto d’autore accademico

Slide:

Lezione 1

Letture:

R. Caso, Il diritto d’autore accademico nel tempo dei numeri e delle metriche (cap. 4, pp. 127-141), in R. Caso, La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e proprietà intellettuale, Milano, Ledizioni, 2020

R. Caso, Il diritto d’autore e la mercificazione della scienza (cap. 23, preprint), in R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, Ledizioni, 2021 (in corso di pubblicazione)

L. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio

Esercizi (leggere le clausole contrattuali ed evidenziare le parti maggiormente rilevanti):

Esempi di copyright transfer agreement (contratti di cessione del diritto d’autore)

Approfondimenti:

AISA, Diritto di ripubblicazione in ambito scientifico

DDL 1146, Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica

SPARC, Author Rights: Using the SPARC Author Addendum

PlanS, Rights Retention Strategy

R.D. Bourdon, S. Rouah, Access to scientific works: exclusive rights and free science, in RIDA, 2019

Lezione 2 – La scienza aperta e l’Open Access alle pubblicazioni scientifiche

Slide:

Lezione 2

Letture:

R. Caso, La scienza tra apertura e mercificazione (cap. 1, pp. 23-45), in in R. Caso, La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e proprietà intellettuale, Milano, Ledizioni, 2020

R. Caso, La scienza non sarà più la stessa. Più condivisione, cooperazione e solidarietà dopo il Covid-19?, 25 marzo 2020

Approfondimenti:

L. Lessig, Cultura libera, 2005, 154 ss.

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M.C. Pievatolo, Open access/accesso aperto. Le parole dell’innovazione, in Archivio Marini, 2012

M.C. Pievatolo, Se l’università può essere liberale, in Bollettino Telematico di Filosofia Politica, 25 giugno 2020

B. Brembs et al., Plan I – Towards a sustainable research
information infrastructure
, January 21, 2021, in Zenodo.org

Le licenze Creative Commons

R. Caso, La dottrina giuridica italiana in Open Access – Una sitografia in costruzione

Il diritto (morale) di liberare i testi

La traccia della relazione che ho tenuto alla conferenza “Pagare per leggere o pagare per scrivere: un dilemma insuperabile?” (Università del Piemonte Orientale, AISA), 4 dicembre 2020, è disponibile qui e qui.

La registrazione della conferenza è disponibile qui.

Il diritto umano alla scienza aperta

27 settembre 2020. Pubblicato il nr. 41 dei Trento LawTech Research Paper: “Il diritto umano alla scienza aperta” di Federico Binda e Roberto Caso

Il paper si può scaricare in Open Access su Zenodo.

Qui di seguito l’abstract:

“Il nesso tra diritto umano alla scienza e Open Science (scienza aperta) è stato indagato nella letteratura e recentemente formalizzato nel Commento generale nr. 25 (2020) del Comitato dei diritti economici, sociali e culturali del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite all’art. 15 (1) (b) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Questo breve scritto è dedicato a evidenziare alcuni aspetti di tale nesso con particolare riferimento al ruolo che ‘il diritto umano alla scienza aperta’ può svolgere in tempi di pandemia”.

La dottrina giuridica italiana in Open Access

Questa sitografia elenca le fonti in accesso aperto alla dottrina giuridica italiana (anche iniziative editoriali pubblicate in Italia ma in lingua straniera). Per segnalare altre fonti o errori si prega di scrivere a roberto.caso@unitn.it

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Amministrativ@mente

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LawArt. Studi di Diritto, Arte, Storia

Ledizioni

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Roma TRE-Press

Tribunali della fede (Edizioni di Storia e Letteratura)

UNICApress

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Università di Torino – Dipartimento di Giurisprudenza – Quaderni

Università di Trento – Dipartimento “Facoltà di Giurisprudenza” – Collana della Facoltà di giurisprudenza

Università di Trento – Dipartimento “Facoltà di Giurisprudenza” -Quaderni della Facoltà di Giurisprudenza

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Comunicato AISA: Accordi trasformativi: un’offerta che non si può rifiutare?

L’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA) ha pubblicato il 13 luglio 2020 un comunicato sui c.d. “contratti trasformativi”.

Il comunicato si legge qui: https://aisa.sp.unipi.it/accordi-trasformativi-unofferta-che-non-si-puo-rifiutare/

I contratti trasformativi comportano molti effetti negativi. Qui di seguito un breve estratto del comunicato nel quale l’AISA formula precise richieste alle istituzioni che hanno il potere decisionale in materia.
L’AISA auspica che si adottino le seguenti contromisure, in ordine decrescente di difficoltà:

  1. mettere in discussione i criteri che comportano l’uso della bibliometria e la dipendenza da database – Scopus e Clarivate Analytics – in mano a multinazionali private il cui scopo è il lucro;
  2. rendere pubblica il più precocemente possibile la proposta di contratto su cui si sta negoziando;
  3. rendere pubblici i contratti conclusi: gli accordi di riservatezza, infatti, sono un vantaggio per chi vende e non certo per chi compra;
  4. non chiedere ai singoli delegati l’adesione su una mera proposta economica, ma sul contratto vero e proprio, che va loro mostrato perché sia condiviso all’interno dell’ente di appartenenza all’inizio e non alla fine della procedura.