Roma – CNR – 6 e 7 dicembre 2022
Programma qui

R. Caso, Le politiche italiane in materia di scienza aperta: lusinghe e misfatti
R. Caso, Diritto d’autore e [vs] diritto alla scienza (aperta)
Roma – CNR – 6 e 7 dicembre 2022
Programma qui
R. Caso, Le politiche italiane in materia di scienza aperta: lusinghe e misfatti
R. Caso, Diritto d’autore e [vs] diritto alla scienza (aperta)
30 novembre 2022
Diritto d’autore e proprietà intellettuale: questioni aperte. Proprietà Intellettuale vs Scienza Aperta. Promesse e contraddizioni del bilanciamento giudiziale dei diritti. Università di Brescia, Dipartimento di Giurisprudenza, Camera civile di Brescia, 30 novembre 2022. Presentazione disponibile su Zenodo.
Corso della Scuola Superiore di Magistratura, Aula Magna – Campus Matera – Via Lanera, 20, Matera, 30 settembre 2022
“Facendo seguito al primo corso sul tema dell’Intelligenza artificiale, tenutosi
nello scorso aprile a Matera ed organizzato in collaborazione tra la Formazione
territoriale di Potenza della Scuola Superiore della Magistratura, il Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Matera ed il Consiglio Notarile di Matera, con questo secondo corso si vuole approfondire altre tematiche giuridiche, con particolare riguardo alla tutela dei diritti della persona, che appaiono a rischio di gravi compressioni dall’uso massivo della I.A […]”.
Programma completo qui.
Roberto Caso, Proprietà intellettuale e diritto all’informazione e alla cultura, slide qui.
Intervista a Roberto Caso qui.
Intervista di Michela Perrone al Prof. Roberto Caso, Policy and Procurement in Health Care, 7 settembre 2022
Roberto Caso
Voce del Dizionario AISA della scienza aperta
25 agosto 2022, modificata il 26 e il 28 agosto 2022, pdf qui, e su Zenodo
L’espressione “proprietà intellettuale” è di quelle che dominano la scena della contemporaneità. Eppure il suo uso come categoria giuridica che identifica numerosi differenti diritti di esclusiva su attività umane è molto recente. Attualmente la categoria include diritti d’autore, brevetti per invenzione, marchi, disegni industriali, indicazioni geografiche, segreti commerciali. Secondo una ricostruzione di un autorevole studioso della materia, l’uso della macrocategoria inizia a diffondersi a seguito dell’istituzione nel 1967 dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà (World Intellectual Property Organization o WIPO). La WIPO è un’agenzia delle Nazioni Unite che conta 193 Paesi membri ed è dedita allo sviluppo di un sistema normativo internazionale “bilanciato” ed efficace di proprietà intellettuale.
L’uso della macrocategoria si è poi definitivamente imposto – o è stato imposto dall’Occidente – attraverso una delle normative più emblematiche del capitalismo globale: l’accordo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sui diritti di proprietà intellettuale del 1994 (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights o TRIPS).
Attraverso gli accordi normativi internazionali gli Stati hanno parzialmente ceduto la propria sovranità nazionale. Le grandi linee di sviluppo nonché il c.d. bilanciamento tra proprietà intellettuale e altri diritti sono nelle mani di organi e corti internazionali.
L’Unione Europea ha competenza nella materia e ha inserito la proprietà intellettuale nell’art. 17.2 della Carta dei Diritti Fondamentali, accostandola al vero diritto di proprietà e privandola, almeno a livello della lettera del testo, della clausola sociale.
La categoria della proprietà intellettuale rimane però filosoficamente e giuridicamente controversa per diverse ragioni.
a) Accumuna diritti che poco hanno a che fare l’uno con l’altro. Tali diritti hanno ragioni giustificative e finalità differenti. Il diritto d’autore disciplina le opere dell’ingegno della letteratura, dell’arte e della scienza. Il brevetto per invenzione riguarda l’innovazione industriale. Il marchio serve a identificare prodotti e servizi. E così via. La riconducibilità di questi diritti alla proprietà è discussa sia nel pensiero giusnaturalista sia in quello utilitarista.
b) Stabilisce un accostamento forzato tra diritti di esclusiva su beni tangibili (la proprietà in senso stretto) con i diritti di esclusiva su beni intangibili che hanno natura profondamente diversa. I beni tangibili sono rivali al consumo. I beni intangibili no: possono essere fruiti contemporaneamente da un numero infinito di persone. Lo stesso riferimento al bene intangibile come frutto dell’attività del pensiero umano è controverso.
c) Nasconde retoricamente la natura monopolistica del diritto di esclusiva. Un conto è parlare di proprietà, altro è parlare di monopolio. Nei sistemi capitalistici ad economia liberale il monopolio viene, almeno in linea teorica, contrastato dal diritto. Mentre la proprietà è un pilastro del capitalismo liberale. Nelle costituzioni in cui il diritto di proprietà è un diritto fondamentale – e non è il caso della Costituzione italiana – l’accostamento esplicito o implicito della proprietà intellettuale alla proprietà, significa fondamentalizzare il diritto, cioè renderlo inattaccabile da norme di legge ordinaria che contrastano con il contenuto costituzionale.
Negli ultimi decenni la normativa degli accordi internazionali ha esteso progressivamente il contenuto della c.d. proprietà intellettuale. Beni della conoscenza che in passato erano comuni oggi sono sottratti alla destinazione universale e gravati da esclusive. Ma c’è di più e di peggio. La proprietà intellettuale riguarda sempre di più il controllo delle infrastrutture tecnologiche e della loro logica (gli algoritmi) costituendo una barriera di accesso a monte del sistema di comunicazione e di progresso della conoscenza.
La proprietà intellettuale alimenta il capitalismo dei monopoli intellettuali che genera gravi disuguaglianze e mette a rischio la democrazia. Disuguaglianze tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Disuguaglianze, anche nei Paesi ricchi, tra persone che possono pagare il prezzo per l’accesso alla conoscenza e persone che non hanno questa possibilità. Si pensi, ad esempio, all’accesso ai testi e alle altre risorse formative della scuola e dell’università.
Peraltro, il fenomeno della concentrazione nelle mani di pochi soggetti del controllo esclusivo di informazioni, dati e capacità computazionale si basa oggi non solo sul diritto (la c.d. proprietà intellettuale) ma anche (e soprattutto) sul potere di fatto delle grandi piattaforme commerciali di Internet.
Nel campo della scienza la tendenza a privatizzare la conoscenza, cioè ad estendere le esclusive (giuridiche e di fatto) fino al controllo della ricerca di base, dei mattoni fondamentali del sapere, dei beni essenziali per la vita (ad es., farmaci e vaccini) e delle infrastrutture della comunicazione (prima fra tutte: Internet) mette a rischio la distinzione tra ricerca animata dal progresso della conoscenza (in particolare, la ricerca del settore pubblico per l’interesse di tutti) e ricerca orientata al profitto (di pochi). Alimenta i conflitti di interesse. Omologa le istituzioni accademiche e scientifiche alle aziende.
Fin dai primi anni 2000 c’è chi mette in guardia sul fatto che la scienza aperta è inconciliabile con la continua espansione della proprietà intellettuale. Quel monito è oggi più vero che mai.
Roberto Caso
24 agosto 2023, modificato il 25 agosto 2022 (versione 3.0: Zenodo e pdf qui).
Il vento della politica sta cambiando ancora. A livello globale e a livello nazionale. Quale futuro avrà la scienza aperta a partire da questo autunno?
L’idea di rendere gratuitamente accessibili e giuridicamente riutilizzabili i risultati della scienza su Internet, di rendere più democratico, equo e trasparente il processo di formazione e di discussione critica della scienza potrebbe essere in crisi di fronte ai (nuovi) rigurgiti nazionalisti e imperialisti. Insomma, la scienza aperta è espressione del principio della destinazione universale dei beni e del valore del dialogo pubblico e pacifico tra uomini, applicati a un nuovo scenario tecnologico in cui la costruzione e la comunicazione cooperativa della conoscenza passa attraverso la Rete. Un principio (la libertà della conoscenza, la conoscenza come bene comune) e un valore (l’uso pubblico della ragione) che si contrappongono frontalmente a chiusure di confini e colonizzazioni più o meno violente.
Nel migliore dei mondi possibili, la pandemia avrebbe dovuto rappresentare una spinta potente allo sviluppo della scienza aperta, a partire dalla riforma dei diritti d’autore e dei brevetti. Le cose sono andate in modo diverso. I farmaci salvavita, compresi i vaccini, sono rimasti, salvo lodevoli eccezioni, nel controllo delle Big Pharma. L’editoria scientifica, oramai trasformatasi nell’imprenditoria dell’analisi dei dati, è saldamente nelle mani di grandi monopoli: lo dimostrano i c.d. contratti trasformativi, accordi tra grandi imprese della comunicazione scientifica e consorzi di biblioteche che, al di là delle declamazioni, consentono ai giganti commerciali di accrescere i loro profitti e aumentano le diseguaglianze tra chi può e chi non può entrare nel gioco della comunicazione scientifica.
Durante l’estate del 2022 sono stati pubblicati documenti di policy e studi istituzionali che guardano al futuro prossimo della ricerca e dell’Open Science.
A livello europeo ed italiano tra i tanti documenti rilevanti si segnalano:
– il Piano Nazionale della Scienza Aperta del Ministero dell’Università e della Ricerca italiano parte del Programma Nazionale della Ricerca 2021-2027 (Decreto Ministeriale n. 268 del 28 febbraio 2022, pubblicato il 15 giugno 2022 [sic!]; il PNR era stato approvato dal CIPE il 15 dicembre 2020);
– le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea su Research assessment and implementation of Open Science del 10 giugno 2022;
– l’Agreement on Reforming Research Assessment del 20 luglio 2022;
– quattro studi (agosto 2022) della Commissione Europea su vari aspetti normativi (copyright e pubblicazioni scientifiche, copyright e riuso dei dati, Open Data Directive, Data Governance and Data Act, Digital Services Act e Digital Markets Act), che incidono sulla ricerca e sull’Open Science.
I documenti auspicano modifiche delle norme sulla c.d. proprietà intellettuale e riforme delle prassi della valutazione della ricerca.
Tuttavia, nessuno dei testi citati vuole sciogliere i nodi e le contraddizioni di fondo. Nodi e contraddizioni che sollecitano la seguente domanda: la scienza aperta per come concepita dall’Unione Europea e dall’Italia è antagonista del capitalismo dei monopoli intellettuali e della sorveglianza, del neoproprietarismo e della privatizzazione della conoscenza o ne è strumento?
Non potendo qui entrare nel dettaglio di tutti i documenti, ci si limiterà a un paio di esempi.
Il primo esempio riguarda l’impatto del diritto d’autore sull’apertura delle pubblicazioni scientifiche nonché sul diritto umano alla scienza e alla ricerca.
Il Piano Nazionale della Scienza Aperta (pag. 6) si esprime nel modo seguente.
“Il principio dell’accesso aperto è nato spontaneamente nella comunità scientifica, ma oggi è oggetto di normative e soft law a livello internazionale e nazionale. Il quadro normativo attuale, in particolare la legge sul diritto d’autore, ostacola lo sviluppo dell’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche.
Due sono le priorità:
a) promuovere un diritto irrinunciabile e inalienabile di ripubblicazione immediata (senza termini di embargo) per le pubblicazioni scientifiche finanziate parzialmente o totalmente con fondi pubblici;
b) estendere la portata in ambito scientifico delle eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. In particolare, si raccomanda di attuare la Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Occorre definire le modalità e gli strumenti per aprire all’accesso quanto pubblicato in accesso chiuso ai fini dello svolgimento di esercizi di valutazione imposti dallo Stato.”
A parte il riferimento anacronistico all’attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 – già avvenuta con il D.lgs. n. 177 del 2021 che peraltro ha disatteso gli auspici che provenivano dal mondo della scienza aperta -, c’è da dubitare che il diritto di ripubblicazione possa improvvisamente trasformarsi in un obiettivo politico prioritario del nuovo parlamento e, soprattutto, del nuovo governo (qualsiasi colorazione politica essi dovessero assumere). Ne è prova il fatto che il diritto di ripubblicazione in accesso aperto era parte della c.d. proposta Gallo avanzata durante la corrente legislatura, ma arrestatasi in Senato e rimasta alla fine, dopo tre diversi governi, lettera morta.
Nello studio della Commissione Europea si delineano diverse opzioni di modifica della normativa europea sul copyright in favore della ricerca scientifica, alcune delle quali riguardano anche il diritto di ripubblicazione (secondary publication right). A fronte dell’immobilismo italiano, occorrerà vedere se l’Unione Europea vorrà effettivamente perseguire la strada di una modifica profonda del diritto d’autore a favore della scienza (conoscenza) aperta, una modifica che però garantisca l’assoluto rispetto della libertà e dell’autonomia scientifico-accademica.
Più in generale, rimane il problema della scelta di fondo dell’Unione Europea: l’aver voluto inserire la c.d. proprietà intellettuale del capitalismo globale tra i diritti fondamentali (v. l’art. 17.2 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) privandola, almeno a livello della lettera della disposizione, della clausola sociale presente, invece, nell’art. 42 della nostra Costituzione in riferimento al diritto di proprietà (in senso stretto). Tale operazione ha diversi obiettivi: far rientrare nel concetto di proprietà ciò che non lo è (il diritto d’autore, il brevetto per invenzione, i marchi, i segreti commerciali), accumunare tutti i diritti di esclusiva su entità intangibili sotto il cappello di una categoria che evoca il dominio assoluto e dispotico e blindare le stesse esclusive con la garanzia costituzionale del carattere fondamentale del diritto (garanzia sorvegliata dalla Corte di Giustizia UE e, indirettamente, dalla Corte EDU).
Le speranze di un riequilibrio del diritto d’autore e del brevetto per invenzione rimangono nelle mani dei giudici (delle corti internazionali e nazionali) con tutti i rischi (ma anche le opportunità) che ciò comporta.
Il secondo esempio riguarda le possibili riforme del sistema di valutazione della ricerca.
Nelle conclusioni del Consiglio UE su Research assessment and implementation of Open Science si rinviene una parte dedicata (pagg. 4 ss.) ad alcuni principi che dovrebbero guidare la riforma dei sistemi europei di valutazione.
a) Disegnare un approccio che esprima un maggiore bilanciamento tra valutazione qualitativa e quantitativa della ricerca, con relativo rafforzamento degli indicatori qualitativi e uso responsabili di quelli quantitativi.
b) Riconoscere tutte le forme di contributo alla ricerca e all’innovazione e tutte le forme di processo di formazione della scienza. Non solo pubblicazioni, ma anche dataset, software, metodologie, protocolli, brevetti ecc.
c) Prendere in considerazione ai fini della carriera tutte le attività di ricerca e innovazione. Ad esempio, la supervisione dei giovani ricercatori, i ruoli di leadership, la capacità imprenditoriale, l’interazione della società inclusi il public engagement e la citizen science.
d) Prendere in considerazione le specificità della disciplina di riferimento, la tipologia di ricerca (di base o applicata), lo stadio della carriera, le missioni dell’istituzione di ricerca.
e) Garantire che l’integrità (etica) della ricerca rappresenti la più elevata priorità e non sia contraddetta da incentivi che muovono in direzione opposta.
f) Garantire la diversità, l’eguaglianza di genere e la promozione delle donne nella scienza.
Al di là della genericità che caratterizza tutti i documenti programmatici di questo genere e di alcune banalità, spicca una visione che fa di tutte le erbe un fascio. Non emerge quella che dovrebbe essere la vera priorità: conservare una distinzione e un equilibrio tra ricerca pubblica finalizzata all’interesse di tutti e ricerca privata. Si conferma invece una visione aziendalistica della ricerca e della scienza aperta che cannibalizza tutto il mondo del sapere. Così, secondo il Consiglio UE, il male non sta negli indicatori in sé, ma nell’uso sbilanciato degli stessi.
Qualche spunto positivo emerge con riferimento ai principi di apertura che dovrebbero governare gli esercizi di valutazione con particolare riferimento agli indicatori quantitativi (pag. 7). Si auspica che le banche dati e i dati bibliometrici siano, in linea di principio, aperti e trasparenti (chissà cosa ne pensa l’ANVUR). Ma nessuno elemento di concretezza si rinviene con riferimento al modo con cui rendere operativo l’auspicio. In ogni caso, non una parola sull’idea di affidare ad agenzie governative, cioè alla spada invece che alla bilancia, la governance attraverso i numeri della ricerca accademica.
In conclusione, per quello che emerge dagli ultimi documenti di policy dedicati alla materia, l’Open Science dell’Unione Europea si avvia a diventare (se già non lo è già) strumento del capitalismo neoliberista.
Se fosse diffusa una diversa visione della scienza aperta tra ricercatori e cittadini, si potrebbe pronosticare un autunno caldo. Ma l’apertura democratica della scienza come altri temi fondamentali non trova spazio né nella formazione scolastica né nel dibattito pubblico dei mass media. La cosa non sorprende. Se i cittadini hanno una vaga idea di cosa sia la scienza – e ne abbiamo avuto prove evidenti durante la pandemia -, è difficile che possano comprendere quale valore abbia per la tenuta della democrazia la scienza aperta nel senso qui delineato.
Facile prevedere che nessuna delle priorità verrà affrontata in autunno e nei mesi a venire. Non il contrasto ai monopoli intellettuali, non una seria riforma della valutazione della ricerca volta a ristabilire autonomia e libertà accademica, non la costruzione di infrastrutture di comunicazione realmente indipendenti dai padroni della Rete.
Science as usual… pardon: business as usual.
AA.VV., Agreement on Reforming Research Assessment, 20 July 2022
L. Bruni, Quando la conoscenza era un ben comune e gratuito, Avvenire, 13 febbraio 2021
R. Caso, La scienza non sarà più la stessa. Più condivisione, cooperazione e solidarietà dopo il Covid-19?, Trento LawTech Research Papers, nr. 39, Trento, Università degli studi di Trento, 2020, BioLaw Journal, v. 2020, no. 1s (2020), p. 617-622
R. Caso, F. Binda, Il diritto umano alla scienza aperta, Trento LawTech Research Papers, nr. 41, Trento, Università degli studi di Trento, settembre 2020, in G. Perrone, M. Perduca (cur.), Così san tuttз – Diritto alla Scienza, istruzioni per l’uso, Roma, Fandango Libri, 2021, 44-52
R. Caso, Riformare il diritto d’autore per sostenere l’open science: dalla pandemia opportunità unica, Agenda digitale, 26 aprile 2021
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R. Caso, Vaccini senza brevetti: così cambiamo il business dei farmaci, Agenda digitale, 25 febbraio 2022
R. Caso, Industria farmaceutica e salute: la riforma secondo Garattini, Agenda digitale, 18 marzo 2022
R. Caso, Open Data, ricerca scientifica e privatizzazione della conoscenza, Trento LawTech Research Paper nr. 48, 2022
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EC, Study on the Open Data Directive, Data Governance and Data Act and their possible impact on research, 1 August 2022
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Roberto Caso, versione breve 1.0 18 giugno 2022, pubblicata su L’Adige il 20 giugno 2022 con il titolo “La fragile democrazia dell’Occidente“, versione estesa 2.0 21 giugno 2022
Il 17 giugno 2022 le agenzie di stampa rimbalzavano due notizie apparentemente lontane e slegate.
La prima riguarda la decisione del governo britannico, per mano della ministra Priti Patel, di estradare l’australiano Julian Assange, fondatore nel 2006 di Wikileaks, negli Stati Uniti. Ad Assange e Wikileaks si devono, tra l’altro, la rivelazione dei crimini di guerra statunitensi commessi in Afghanistan e Iraq. Prima un anno e mezzo agli arresti domiciliari, poi rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e infine negli ultimi 3 anni recluso in una prigione inglese di massima sicurezza, Assange è privo della libertà personale da quasi dodici anni senza aver subito una condanna (men che meno definitiva). In altri termini, è un cittadino innocente in attesa di un giudizio (di uno Stato straniero). Ha dovuto affrontare decisioni altalenanti dei giudici inglesi per poi subire un ordine di estradizione da parte della ministra Patel. Le sue condizioni fisiche e mentali lo espongono al rischio di perdere la vita. L’ultima speranza, sul piano giuridico, è affidata all’impugnazione dell’atto ministeriale da presentare entro un termine brevissimo e a un eventuale ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.
La seconda concerne la decisione in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO nell’acronimo inglese) di raggiungere un accordo compromissorio nella materia dei brevetti sui vaccini che, in sostanza, lascia intatto l’attuale quadro normativo sulla proprietà intellettuale. In definitiva, l’accordo rigetta la proposta volta a sospendere tutti i diritti di proprietà intellettuale su farmaci, vaccini e dispositivi medici utili a contrastare il COVID-19. La proposta era stata avanzata da India e Sudafrica nell’ottobre del 2020 e poi sostenuta da molti Paesi nonché da un vasto movimento di opinione.
Cosa lega le due notizie? La fragilità della democrazia occidentale e di due dei suoi valori fondanti: la libertà (di informazione) e la solidarietà. In questi mesi, la comunicazione dei governi occidentali si concentra, retoricamente, sulle minacce esterne alla democrazia liberale – Russia e Cina in testa – ma tace sulle debolezze e le contraddizioni interne.
La decisione di estradare Assange viene da un governo conservatore, politicamente indebolito, di un Paese che, a seguito della Brexit, appare sempre più allo sbando e prono alla potenza americana. Come ha messo in evidenza Vincenzo Vita su Il Manifesto il meccanismo giuridico inglese che porta all’estradizione è “curioso”. La decisione finale spetta a un ministro. Cioè è una decisione non collegiale di un solo rappresentante del potere esecutivo. La culla della democrazia liberale mostra evidentemente tutte le sue fragilità.
La decisione di non sospendere i diritti di proprietà intellettuale chiude una danza macabra durata più di un anno e mezzo in cui hanno prevalso le pressioni delle Big Pharma per mantenere in piedi un sistema in cui decidono i poteri privati (e non gli elettori dei Parlamenti) e le strategie geopolitiche del blocco occidentale con l’Unione Europea in testa. Provando a immedesimarsi negli occhi di chi proviene da Paesi poveri sprovvisti di informazioni, conoscenze e tecnologie per la tutela della salute, tale decisione suona come l’ennesima manifestazione di arroganza del potere coloniale. Il colonialismo, infatti, non funziona solo commettendo genocidi e depredando risorse naturali, ma anche negando beni immateriali (la proprietà intellettuale) che servono a salvare vite umane. Nicoletta Dentico su Sbilanciamoci ha scritto incisivamente sulla vicenda utilizzando la metafora della guerra.
“L’economia della conoscenza scientifica ed i meccanismi legalizzati di ‘appropriazione della scienza’ (come sostengono accreditati economisti) da parte di Big Pharma, anche quando l’innovazione è generata con finanziamenti pubblici (come, ma non solo, nel caso di Covid-19), definisce un crinale di guerra aperta tra il Nord e il Sud del mondo. Nessuno si scandalizzi per il paragone con la guerra tra Russia e Ucraina. Anche questa lo è. […] Su questo fronte, come sul recente conflitto europeo, il multilateralismo esce a pezzi, in un dialogo tra sordi non più in grado di intercettare le istanze di cambiamento e di trovare una mediazione conveniente alla sfida delle future pandemie”.
La mobilitazione in giro per il mondo a favore di Assange può ancora provare a difendere la libertà di espressione. Nel nostro Paese è degna di nota la presa di posizione della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) che per bocca del suo segretario generale Raffaele Lorusso ha dichiarato che:
“La decisione del governo di Londra di consentire l’estradizione di Julian Assange negli Usa è un attacco alla libertà di informare”
La FNSI organizza per il 21 giugno presso la sua sede la presentazione dell’appello contro l’estradizione di Assange promosso dal premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquive alla quale saranno presenti, tra gli altri, Stefania Maurizi, Vincenzo Vita e Armando Spataro.
C’è da augurarsi che si moltiplichino anche le iniziative per difendere la solidarietà e riformare la proprietà intellettuale a livello internazionale e nazionale.
Libertà, eguaglianza e fratellanza (solidarietà). A forza di declamare principi e valori traditi dai fatti non solo perdiamo forza e credibilità verso le minacce provenienti da mondi diversi dal nostro, ma distruggiamo la nostra storia e la nostra identità.
Roberto Caso, “Open Data e privatizzazione della conoscenza“, Data Governance Summer School, Jean Monnet Module Digital Citizenship in the European Union – DiCit, Università di Napoli L’Orientale, 6 e 7 giugno 2022, Sala Conferenze – Palazzo Du Mesnil, Via Partenope 10/A con accesso alla Via Chiatamone, 61 – Napoli – Programma disponibile qui.
Roberto Caso, Dati della ricerca, tra apertura e proprietà intellettuale, Linee guida open data: focus su dati della ricerca, beni culturali ed esperienze transnazionali, Eventi PA, Agenzia per l’Italia Digitale, 1° giugno 2022