Pubblicato il n. 51 della serie dei LawTech Research Paper
Marta Arisi, Che lo sforzo (o il bilanciamento?) sia con te! L’art. 17 della direttiva copyright e la libertà di espressione nel diritto europeo dell’era digitale
Rossana Ducato, Upload filters, controllo dei contenuti online e libertà d’espressione: riflessioni a caldo sulla decisione della Corte di Giustizia intorno all’art. 17 della direttiva copyright nel mercato unico digitale, LawTech Seminars, 18 maggio 2021, Università di Trento, Facoltà di Giurispruenza
Roberto Caso, Attuazione direttiva copyright: perché c’è chi dice no, Agenda Digitale, 4 febbraio 2022
Roberto Caso
12 dicembre 2021 (pubblicato su L’Adige, 12 dicembre 2021, con il titolo “Diritto d’autore, riforma a rischio” e su Alto Adige, 13 dicembre 2021, con il titolo “Copyright: democrazia o tecnocrazia?“)
Oggi entra in vigore un’importante modifica della legge sul diritto d’autore: il decreto legislativo n. 177 del 2021 di attuazione della direttiva dell’Unione Europea n. 790 del 2019, meglio conosciuta come “direttiva copyright”.
Il tema è (apparentemente) di nicchia. Eppure, si tratta di una novella legislativa importante. Essa produce la modifica più estesa e profonda della legge italiana sul diritto d’autore degli ultimi 20 anni. E la legge sul diritto d’autore, in quanto strettamente legata alla libertà di espressione e informazione, dovrebbe interessare tutti. In questa prospettiva, essa rappresenta un pilastro fondamentale su cui basano le società democratiche. Dalla stampa a caratteri mobili fino a Internet il diritto d’autore ha sempre costituito un elemento essenziale dell’ecosistema informativo.
A leggere superficialmente le reazioni che hanno avuto voce su giornali, radio e televisioni sembrerebbe che l’attuazione italiana della direttiva copyright incontri un vasto coro di consensi. La SIAE, l’Associazione Italiana Editori, la Federazione Italiana Editori Giornali e la Federazione Industria Musicale Italiana hanno usato toni trionfalistici all’indomani dell’approvazione in Consiglio dei Ministri. Quel che sorprende di più è la trasversalità politica delle manifestazioni di soddisfazione. Dal Partito Democratico a Fratelli d’Italia sembra che il restyling del diritto d’autore metta d’accordo tutti.
Tuttavia, chi conosce la storia dei travagliati processi legislativi che hanno portato nel 2019 all’approvazione della direttiva e ora alla sua attuazione in Italia sa che esiste un vasto movimento di opinione contrario all’impostazione di fondo e a molti contenuti di questa nuova normativa. Questo movimento composto da persone, partiti, associazioni e organizzazioni che promuovono l’apertura della conoscenza come Wikimedia, Creative Commons, Communia e AISA raramente trovano ospitalità in giornali, radio e televisioni. D’altra parte, l’approvazione in Parlamento Europeo fu a maggioranza (348 voti a favore, 274 contrari) ed alcuni Stati Membri, tra i quali l’Italia, nel Consiglio dell’UE votarano contro.
L’impostazione di fondo della direttiva tradisce i suoi limiti a partire dal titolo: diritto d’autore nel mercato unico digitale. Si tratta, nell’idea della Commissione UE Junker, di una parte della strategia per la costruzione del mercato europeo digitale. Un mercato viziato da barriere legislative: le differenze tra le leggi nazionali sul diritto d’autore sono troppo marcate. Viziato, inoltre, da una disparità di potere tra le grandi piattaforme Internet (statunitensi) e gli intermediari tradizionali come editori e produttori musicali. La direttiva, perciò, nei suoi principali obbiettivi intendeva riavvicinare le legislazioni nazionali e riequilibrare il potere degli intermediari.
In particolare, al fine di riequilibrare il potere degli intermediari vecchi e nuovi il legislatore unionale ha creato un nuovo diritto degli editori di giornali sulle pubblicazioni giornalistiche (art. 15) e ha determinato un aggravamento della responsabilità degli intermediari Internet che consentono il caricamento di contenuti da parte di utenti: ad es. YouTube (art. 17). Il nuovo diritto degli editori dovrebbe consentire agli stessi di recuperare il valore di cui si approprierebbero piattaforme come Google News e Facebook. La nuova responsabilità, tramite l’obbligo dell’uso di filtri automatici basati sull’intelligenza artificiale dovrebbe mettere i titolari di diritti d’autore (in particolare, l’industria musicale) nella condizione di avere un ritorno economico per lo sfruttamento commerciale dei contenuti protetti caricati dagli utenti.
Insomma, la direttiva si muove su un crinale geopolitico di regolamentazione del mercato e lo fa rafforzando i diritti di esclusiva degli intermediari tradizionali nella speranza di dare respiro all’industria digitale europea messa nell’angolo dallo strapotere americano.
Non c’è dubbio che la concentrazione di potere delle grandi piattaforme Internet (oggi americane e domani anche cinesi) sia uno dei problemi più rilevanti per le nostre democrazie. Lo testimoniano i molti interventi su diversi fronti: fiscale, antitrust, della protezione dei dati personali. Tuttavia, deformare il diritto d’autore piegandolo a un obiettivo puramente economico, qual è la restituzione ai vecchi intermediari del valore appropriato dai nuovi, dimentica il fatto che il diritto d’autore è innanzitutto una questione politica, perché regola l’accesso alla cultura e alla conoscenza.
Nuovi diritti di esclusiva e nuove responsabilità impattano la vita di tutti. Il nuovo diritto degli editori si aggiunge ai diritti di esclusiva già riconosciuti dalla legge sul diritto d’autore, restringendo i margini per l’accesso e il riuso delle pubblicazioni giornalistiche online. L’aggravamento della responsabilità di intermediari come YouTube obbliga di fatto a usare tecnologie di filtraggio automatico che riducono la libertà di espressione e di informazione degli utenti.
Vero è che la direttiva prevede anche salvaguardie e spazi di libertà dalle esclusive vecchie e nuove. Prevede, inoltre, alcuni diritti per proteggere gli autori dal maggiore potere contrattuale degli intermediari. Ma tali meccanismi sono alquanto farraginosi e contraddittori.
L’attuazione italiana (il decreto legislativo n. 177 del 2021) complica un quadro legislativo già ampiamente compromesso a monte. Introduce strumenti giuridici non previsti dalla direttiva, guarda soprattutto agli interessi dei grandi editori, estende il potere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) – un’autorità che non è dotata degli stessi requisiti di indipendenza e imparzialità dei giudici ordinari – e comprime ulteriormente gli spazi di libero accesso ai contenuti protetti da diritti di esclusiva.
Quel che preoccupa non è solo la direttiva in sé ma anche e soprattutto la strategia complessiva sulla proprietà intellettuale. Nei vari documenti di riferimento, dal Piano di Azione della Commissione UE sulla proprietà intellettuale alla strategia sulla proprietà industriale del Ministero dello Sviluppo Economico, la ricetta, persino in tempi di Pandemia che reclamano maggiore condivisione della conoscenza, rimane il rafforzamento dei diritti di esclusiva. La vicenda dei brevetti sui vaccini anti-COVID-19 è, da questo punto di vista, emblematica.
Non rimane che sperare nell’interpretazione dei giudici. A cominciare dalla Corte di Giustizia dell’UE che dovrà decidere a breve sulla legittimità di una delle norme cardine della direttiva: l’art. 17 sulla responsabilità degli intermediari Internet che consentono il caricamento di contenuti da parte di utenti.
La storia ricorda che il vero diritto d’autore, quello che opera nella realtà della prassi lo scrivono corti e tribunali. Nel 1774 quando l’House of Lords decise che il copyright della legge della Regina Anna del 1710 doveva essere interpretato come un’esclusiva limitata temporalmente e non come una proprietà perpetua la gente scese in piazza a festeggiare. Le persone sapevano benissimo che dalla limitazione temporale del copyright sarebbero derivati prezzi di acquisto dei libri molto più bassi: tutti gli editori potevano ristampare le opere cadute in pubblico dominio.
In definitiva, i giudici rappresentano uno degli ultimi argini della democrazia. L’ultima linea di difesa al dilagare della tecnocrazia.
Roberto Caso, Tecnocrazia o democrazia? La direttiva copyright: metafora di un dilemma fondamentale
Seminario 29 novembre 2021
29 novembre 2021, h 14:00 – 17:00
Università degli Studi di Brescia Corso Mameli – AULA 10
Roberto Caso, Direttiva Copyright, troppi punti oscuri nella “versione” italiana: gli errori del MIC, Agenda Digitale, 7 ottobre 2021
Osservazioni di AISA sullo schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale per l’uso della Commissione XIV del Senato della Repubblica. Il documento inviato al Senato è visibile qui.
Il testo del documento è riprodotto qui di seguito.
“Spett.le Segreteria 14a Commissione permanente – Politiche dell’Unione europea Senato della Repubblica
Trento, 15 settembre 2021
Oggetto: Schema di decreto legislativo in attuazione della Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n. 295 – XVIII Legislatura.
Con riferimento al documento in oggetto, l’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA), che aveva partecipato alle audizioni informali presso la XIV Commissione permanente (Politiche dell’Unione Europea) del Senato della Repubblica Italiana sul disegno di legge n. 1721 (Legge di delegazione europea 2019), intende proporre alcuni rilievi critici.
a) Una procedura di normazione anomala e opaca
La procedura di normazione seguita dal Ministero della Cultura (MIC) per lo schema di decreto in oggetto si è svolta secondo modalità anomale e opache. Nei giorni 15 e 16 luglio u.s. il Ministero della Cultura ha organizzato audizioni informali sullo schema di decreto legislativo, convocando via email alcuni portatori di interesse. Altri portatori di interesse, che erano stati ascoltati in Parlamento a margine dei lavori sulla legge di delegazione europea e rispetto ai quali esiste documentazione pubblica, scritta e video, sono stati semplicemente ignorati. Di questa procedura si è venuti a conoscenza solo grazie alla pubblicazione sul proprio sito web da parte di Audicoop della lettera di convocazione da parte del MIC (https://meiweb.it/2021/07/13/schema-di-decreto-legislativo-recante-attuazione-della-direttiva-ue-direttiva-ue-2019790-del-parlamento-europeo-e-del-consiglio-sul-diritto-dautore-e-sui-diritti-connessi-nel-mercato-unico-di/). L’AISA, che risulta tra i soggetti non convocati, venuta a conoscenza delle audizioni convocate dal MIC, ha scritto il 20 luglio u.s. allo stesso Ministero chiedendo di essere ascoltata, ma senza ottenere alcuna risposta (https://aisa.sp.unipi.it/mancate-audizioni-presso-il-ministero-della-cultura-sul-decreto-legislativo-in-recepimento-della-direttiva-copyright/).
È forse superfluo ricordare che, nelle procedure legislative, la consultazione dei portatori di interesse risponde a regole e prassi volte a principi di pubblicità, trasparenza e inclusione. Questi principi sono stati in questa occasione consapevolmente calpestati dal legislatore. La direttiva 2019/790 è un testo normativo che ha diviso il Parlamento europeo, suscitato una valanga di critiche da parte degli accademici esperti della materia e alimentato un vasto movimento di opinione fortemente contrario alla sua approvazione. Le modalità anomale e opache con le quali si sta procedendo alla sua attuazione in Italia renderanno ancor più debole il risultato finale.
b) La mancanza di una visione d’insieme sulla proprietà intellettuale di una società democratica
La direttiva 2019/790 e la sua attuazione in Italia mediante modifica della l. 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore o lda) ripropongono la classica visione unionale che riduce il diritto d’autore a una mera questione di mercato. Invece, il diritto d’autore è un pezzo fondamentale della democrazia. La misura e il modo con cui la comunità scientifica può pubblicare e condividere i risultati della ricerca influiscono sul modo in cui evolve o involve una democrazia. Spazi più ampi di libertà nella pubblicazione e nella condivisione dei risultati della ricerca scientifica si traducono in maggiore libertà accademica e contribuiscono allo sviluppo di un dibattito pubblico e critico sulle dinamiche politiche ed economiche. Viceversa, vincoli più stringenti, come quelli che derivano da diritti di esclusiva – peraltro, sempre più attributi in via originaria e diretta agli intermediari commerciali e non agli autori – restringono i margini di libertà di informazione ed espressione del pensiero.
In buona sostanza, la direttiva 2019/790 guarda al diritto d’autore del mercato unico digitale come una questione tra intermediari commerciali vecchi (gli editori) e nuovi (Big Tech e grandi piattaforme di Internet). I cittadini, gli autori, gli scienziati, gli insegnanti, le università, le scuole, gli istituti di tutela del patrimonio culturale sono collocati ai margini della scena. La loro tutela è affidata a strumenti residuali e macchinosi come le eccezioni e limitazioni ai diritti di esclusiva. Mentre i diritti di esclusiva vengono rafforzati, e la responsabilità per la loro violazione aggravata, il promesso rafforzamento delle eccezioni e limitazioni si traduce in un corpo normativo intricato, confuso, contradditorio e prono agli interessi degli intermediari commerciali.
A ben vedere, la direttiva 2019/790 si colloca con coerenza nell’alveo di un’ampia strategia dell’Unione Europea che, persino in epoca pandemica, ripropone come formula magica l’equazione “più esclusive = più innovazione” (si veda la Comunicazione della Commissione UE COM(2020) 760 final del 25.11.2020 che contiene il Piano d’azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’UE). Nonostante dati e teoria della proprietà intellettuale smentiscano l’equazione, il legislatore unionale e quello nazionale procedono sicuri verso un progressivo rafforzamento delle esclusive, focalizzandosi solo ad alcuni interessi particolari e smarrendo la visione ampia e lungimirante che guarda agli interessi generali di una società democratica.
Un fugace sguardo all’inizio della storia del diritto d’autore continentale può aiutare a comprendere il punto. I legislatori che approvarono, durante la Rivoluzione francese, la prima legge europea sul diritto d’autore erano infatti ben consapevoli della sua natura politica, cosmopolitica e pubblica prima che commerciale e privata. “Con la stampa” – sosteneva la relazione con la quale Sieyès presentava la sua proposta – “la libertà non è più confinata in repubbliche di piccole dimensioni, ma si espande per regni ed imperi. La stampa è, per l’estensione dello spazio, quello che era la voce dell’oratore nella piazza pubblica di Atene e di Roma”[1] Ma, a quanto pare, i legislatori europei e italiani, pur deliberando su spazi paragonabilmente ampi, non hanno occhi che per piccoli interessi.
A livello italiano, la controprova della focalizzazione sugli interessi degli intermediari commerciali è offerta dalla stasi di una delle poche iniziative legislative che puntava al rafforzamento del diritto dell’autore scientifico. Il riferimento è alla proposta di legge Gallo (DDL 1146 Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all’informazione scientifica). La proposta, la cui ultima discussione in Parlamento risale al novembre 2019, prevede l’introduzione dell’art. 42-bis nella legge sul diritto d’autore volto a riconoscere all’autore il diritto di ripubblicare la propria opera scientifica in accesso aperto.
c) Conclusioni
Alla luce del poco tempo messo a disposizione non è possibile formulare osservazioni di dettaglio sulle singole disposizioni normative dello schema di decreto legislativo.
L’AISA chiede espressamente alla Segreteria della 14a Commissione permanente di rendere pubblico questo documento sul sito web del Senato della Repubblica.
Cordialmente,
Prof. Roberto Caso
Presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta
[1] Sieyès, Emmanuel Joseph (1790) Rapport de M. l’abbé Sieyès sur la liberté de la presse, et projet de loi contre les délits qui peuvent se commettre par la voie de l’impression, et par la publication des écrits et des gravures, http://www.copyrighthistory.org/cam/tools/request/showRecord?id=record_f_1790″
L. Franceschi, L’intervista al professore Roberto Caso-Unitn-Diritti autore e web focus su direttiva Ue copyright – decreto attuativo italiano-stakeholders-ministero-cultura, Opinione. Agenzia giornalistica, 26 agosto 2021
Di Luca Franceschi
I) DIRETTIVA UE COPYRIGHT
1) Quali sono gli elementi fondamentali previsti nella direttiva dell’Unione europea circa il diritto d’autore connesso al mercato digitale?
Gli scopi dichiarati della direttiva 2019/790 sono l’adeguamento e il completamento dell’armonizzazione del quadro normativo dell’Unione Europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi con riferimento al nuovo contesto digitale. Tale intervento si propone inoltre di porre rimedio all’attuale stato di incertezza giuridica che caratterizza la materia. La direttiva interviene su molteplici aspetti. I principali sono i seguenti:
a) eccezioni e limitazioni a diritto d’autore e diritti connessi nell’ambiente digitale e nel contesto transfrontaliero;
b) diritto connesso dell’editore su pubblicazioni di carattere giornalistico (art. 15);
c) responsabilità dei prestatori di servizi online (ad es. YouTube) che memorizzano contenuti caricati dagli utenti (art. 17);
Al di là degli obiettivi di fondo, la principale (e reale) finalità della direttiva è di correre in soccorso di alcuni intermediari del mercato della creatività (quelli che hanno operato il lobbying più efficace): ovvero i grandi editori della carta stampata, della musica e del cinema messi nell’angolo dai grandi prestatori di servizi online (le grandi piattaforme) della galassia americana GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft).
L’acceso dibattito su questo testo normativo si è, non a caso, focalizzato sull’art. 15 (diritto connesso sulle pubblicazioni giornalistiche) e sull’art. 17 (responsabilità dei prestatori di servizi online).
Nella visione del legislatore europeo il diritto d’autore è essenzialmente una questione di equilibri di potere tra grandi intermediari vecchi (editori) e nuovi (piattaforme). In altri termini, come dice il titolo della direttiva, il diritto d’autore è solo una questione di mercato. Ci si dimentica che il diritto d’autore non riguarda solo il mercato, ma diritti fondamentali come la libertà di espressione, il diritto di accedere e di condividere informazioni e conoscenza.
Nell’ottica miope e distorta del legislatore europeo, la direttiva mira a colmare il c.d. value gap, ovvero il divario tra ciò che viene messo a profitto dalle grandi piattaforme americane e quanto riescono a guadagnare gli editori europei.
Insomma, il diritto d’autore viene impropriamente utilizzato come strumento per riequilibrare il potere dei grandi intermediari.
È facile prevedere che la direttiva è destinata per certo a fallire negli obiettivi di fondo e molto probabilmente nel soccorso ai grandi editori europei. Il risultato del processo di attuazione, ancora in corso in Italia come in molti stati membri UE, sarà quello di un quadro normativo frammentato, incerto e fortemente squilibrato a favore di potenti interessi commerciali.
II) DECRETO ATTUATIVO ITALIANO
2) Lo “schema di decreto legislativo” circa l’attuazione della direttiva (UE) 2019/790 -sul diritto d’autore- quali innovazioni prevede?
Lo schema di decreto legislativo sembra distaccarsi significativamente in alcuni punti sia dalla scarna legge delega sia dalla verbosa direttiva. Come rilevato dai primi commentatori dello schema di decreto, il rischio di una violazione del diritto europeo e di un eccesso di delega è concreto.
Ad esempio, con riferimento al diritto connesso degli editori di pubblicazioni giornalistiche si stabilisce a favore degli editori un diritto di riproduzione e comunicazione al pubblico. Il diritto di esclusiva è negoziabile dalle parti. Ma lo schema di decreto stabilisce che l’utilizzo delle pubblicazioni giornalistiche oggetto del contratto tra editori e prestatori di servizi deve corrispondere a un c.d. equo compenso. Di più, lo schema di decreto regolamenta la negoziazione tra editori e piattaforme sottoponendola al controllo dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM). Insomma, una sorta di mercato supervisionato dallo Stato. Come dire che gli editori non hanno sufficiente potere negoziale nei confronti delle piattaforme e devono appoggiarsi allo Stato. Ovviamente tutto questo ha un costo per le tasche dei cittadini che dovranno pagare attraverso la fiscalità generale il mantenimento di questo pesante e farraginoso meccanismo. È molto probabile, inoltre, che lo stesso meccanismo generi un notevole contenzioso con ulteriori costi che ricadranno sulle casse pubbliche.
3) Del Decreto italiano vi sono elementi migliorabili?
Tutto il decreto è migliorabile. Sarebbe meglio riscriverlo da cima a fondo.
In ogni caso, gli errori più gravi sono a monte, nella direttiva. Il legislatore europeo non ha ascoltato le voci di chi chiedeva un maggiore equilibrio tra titolari del diritto di esclusiva e tutti gli altri portatori di interessi a cominciare dai fruitori delle opere e dei materiali protetti che operano nel mondo dell’università, della scuola e delle istituzioni culturali. Ad esempio, centinaia di accademici esperti di proprietà intellettuale avevano bocciato senza appello in una lettera aperta il diritto connesso degli editori sulle pubblicazioni giornalistiche. Non si negava il problema della concentrazione di potere economico e informativo nelle mani delle grandi piattaforme, ma si proponeva di affrontarlo con strumenti giuridici diversi dal diritto d’autore (ad es., il diritto antitrust e il diritto tributario).
L’istituzione di un nuovo diritto connesso ha precedenti fallimentari. Nel 1996 sotto la pressione di alcuni gruppi di interesse facenti capo alle imprese che gestiscono banche dati, il legislatore comunitario istituì un diritto connesso a favore del costitutore delle banche dati con lo scopo dichiarato di avvantaggiare le imprese europee rispetto a quelle americane. L’idea corrispondeva a un’equazione: più protezione è uguale a vantaggio competitivo. L’obiettivo di politica del diritto è stato un fallimento totale: non solo le imprese europee non hanno ottenuto alcun vantaggio competitivo, ma il diritto connesso sulle banche dati ha prodotto effetti collaterali nel campo della didattica e della ricerca, impedendo la libera circolazioni di dati e informazioni. Oggi a distanza di 25 anni la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica per un’eventuale revisione della direttiva. Insomma, gli errori del passato non hanno insegnato niente.
III) EDITORI ITALIANI
4) Gli editori italiani quali vantaggi economici potranno apprezzare in concreto? Vi è una stima del business?
Distinguerei i grandi editori, che forse potranno ricevere – almeno nel breve periodo – qualche vantaggio economico, dai piccoli editori e da altri intermediari che rischiano di essere schiacciati. Il risultato finale consisterà, molto probabilmente, in una sensibile riduzione del pluralismo delle fonti di informazioni.
5) Un esempio concreto: Google quanto e come riconoscerà il compenso ad un sito di news di un giornale nazionale piuttosto che ad agenzia di stampa?
Bisognerà attendere il regolamento dell’AGCOM che determinerà i criteri per stabilire il c.d. equo compenso. In ogni caso, alcuni criteri generali sono già fissati dallo schema di decreto e sono destinati ad avvantaggiare i grandi editori e le grandi testate.
6) Il singolo autore/editore chi dovrebbe contattare e con quali modalità?
Il diritto spetta all’editore e non all’autore. L’editore riconosce poi all’autore una quota compresa tra il 2 e il 5 per cento dell’equo compenso ottenuto dal prestatore dei servizi della società dell’informazione (piattaforma Internet).
Una delle parti interessate avvia la negoziazione. Se non si raggiunge un accordo, ci si può rivolgere all’AGCOM per la determinazione dell’equo compenso. Se anche la cifra determinata dall’autorità non porta alla stipula del contratto, ci si può rivolgere al giudice.
Invece gli spazi di libertà dei fruitori delle pubblicazioni giornalistiche – tra i quali ci sono ovviamente anche agenzie di stampa, editori e giornalisti – sono affidati a una disposizione che sottrae all’esclusiva del diritto connesso gli utilizzi privati o non commerciali da parte di singoli utilizzatori, i collegamenti ipertestuali, utilizzo di singole parole o estratti molto brevi. Lo schema di decreto definisce l’estratto molto breve “qualsiasi porzione che non dispensi dalla necessità di consultazione dell’articolo nella sua integrità”. La formula è talmente ambigua da candidarsi a uno dei più potenti generatori di contenzioso. Insomma, avrebbe meglio figurato in un gioco agostano da Settimana enigmistica.
IV) STAKEHOLDERS
7) Quali player istituzionali e privati sono stati coinvolti dal Governo italiano?
L’AGCOM e diverse associazioni di categoria. Una costante degli ultimi anni è di accrescere il potere dell’AGCOM nella materia. Invece, sarebbe stato bene che la materia fosse lasciata alla competenza esclusiva del giudice ordinario.
8) Vi sono soggetti che ancora devono essere sentiti?
Mentre il Parlamento ha coinvolto nelle audizioni anche i rappresentanti di interessi facenti capo al mondo no profit, della ricerca scientifica e delle istituzioni del patrimonio culturale, il Ministero della cultura si è “dimenticato” di consultare alcuni portatori di interessi ascoltati in Parlamento. Si tratta di una procedura davvero singolare, anche in considerazione del fatto che gli elenchi dei soggetti ascoltati in Parlamento è pubblico. Inoltre, la consultazione pubblica non è stata lanciata dal MIC con le consuete procedure che consentono di partecipare e seguire l’intero processo – annuncio del ministero sul proprio sito web, pubblicazione delle risposte dei portatori di interesse ecc. – ma chiamando singolarmente gli stakeholder.
V) MINISTERO CULTURA
9) Quale è il ruolo propulsivo del Ministero alla Cultura?
Il ruolo del Ministero sembra decisivo. La materia del diritto d’autore fa capo alla struttura burocratica del MIC. Peraltro, il MIC dispone per legge di un Comitato consultivo permanente che ha emanato un parere sullo schema di decreto. Mi risulta che il parere non è pubblico. Uno dei membri del comitato ha dichiarato alla stampa che il parere è stato dato su un testo completamente diverso da quello che il Governo ha trasmesso al Parlamento. Ovviamente, non disponendo né del parere del comitato, né dei testi precedenti alla versione definitiva dello schema di decreto non è possibile farsi una propria opinione. Insomma, una procedura caratterizzata da assoluta opacità.
10) Il Sottosegretario all’Editoria segue questo iter normativo?
Dalle dichiarazioni che rilascia alla stampa evinco che segue con attenzione il percorso del decreto legislativo.
VI) AISA
11) L’associazione italiana Scienza aperta, di cui le è presidente, è stata ascoltata in Parlamento: quali elementi avete portato all’attenzione dei parlamentari e quale riscontro reale avete ottenuto?
L’AISA, allineandosi ad altri portatori di interessi come Wikimedia e Creative Commons, ha suggerito un’attuazione della direttiva che conduca a un rafforzamento del sistema delle eccezioni e limitazioni a diritto d’autore e diritti connessi.
Tale indicazione si salda peraltro con una precedente proposta della medesima associazione volta a introdurre nella legge sul diritto d’autore italiana un diritto di ripubblicazione irrinunciabile e indisponibile in capo all’autore scientifico sulle proprie opere. Un vero diritto dell’autore e non dell’editore. Il diritto sarebbe strumentale all’attuazione dell’Open Access alle pubblicazioni scientifiche. In altre parole, se l’autore ha pubblicato con la classica formula dell’editoria ad accesso chiuso a pagamento per il lettore, può ripubblicare in accesso aperto – accesso gratuito e con diritti di riuso – senza dover chiedere l’autorizzazione all’editore.
La proposta dell’AISA era stata parzialmente accolta nella proposta di legge dell’On. Gallo sull’accesso aperto, ma poi l’iter legislativo si è arrestato nel novembre 2019 per la pressione degli editori italiani.
Insomma, l’AISA cerca di far presente al legislatore che il diritto d’autore non è solo una questione di mercato, ma un tema che attiene alla democrazia. Le leggi sul diritto d’autore degli ultimi decenni sono state scritte alimentando la concentrazione di potere e restringendo gli spazi di libero accesso e condivisione della conoscenza. Ciò determina un grave rischio per la democrazia. Uno dei tanti di quest’epoca sventurata.