15.06.2025 (aggiornato al 18.06.2025)

Mentre in Francia si vorrebbe abolire l’agenzia nazionale di valutazione della ricerca scientifica , cioè l’Haut Conseil de l’évaluation de la recherche et de l’enseignement supérieur (HCéres), in Italia continua il dibattito sulla riforma della valutazione promossa dall’Unione Europea attraverso l’Agreement on Reforming Research Assessment (ARRA), e la Coalition for Advancing Research Assessment (COARA).
A questo proposito, Maria Chiara Pievatolo, in un testo disponibile anche su ROARS, muove un’argomentata critica al peccato originale di COARA: la sovrapposizione di potere amministrativo e ricerca.
Di seguito le sue parole.
“L’origine dell’ Agreement on Reforming Research Assessment su cui si basa COARA ha poco a che vedere con Kant. È infatti esito di un’iniziativa che non nasce fra gli studiosi, bensì nella Commissione, con il sostegno del Consiglio dell’Unione Europea, quando la pandemia di Covid-19 mostrò anche ai più conservatori che una valutazione della ricerca basata sulla quantità di pubblicazioni e citazioni non garantisce, come tale, né accessibilità né qualità alla scienza.
Sebbene gli organi dell’Unione Europea abbiano fondato la loro iniziativa su numerosi studi, sia indipendenti sia su commissione, il loro intervento non ha preso di mira le infrastrutture, bensì la qualità della ricerca.
Per riconoscere la qualità di un’opera – ha ammesso l’Unione Europea – bisogna leggerla e comprenderla: per questo una valutazione che la prenda sul serio deve mettere in primo piano la revisione fra pari, compiuta dagli studiosi stessi, e usare la bibliometria in modo “responsabile”. E però il difetto della bibliometria – la pretesa di valutare la ricerca solo quantitativamente, senza leggerla e senza capirla – diventa una virtù, quando la valutazione, strappata alle comunità degli studiosi, è affidata ad agenzie governative centralizzate. La revisione fra pari – si dice – non può essere usata come arma di valutazione di massa perché non è scalabile. La bibliometria invece lo è, proprio perché esonera dalla lettura e dalla comprensione.
Come possiamo dunque sperare di eliminare o ridimensionare l’uso valutativo della bibliometria senza ridimensionare o eliminare le agenzie amministrative centralizzate – quali l’ANVUR italiana e l’ANECA spagnola – a cui il governo ha conferito il compito della valutazione di massa?”
La Francia sembra voler risolvere il problema, redimendosi dal peccato originale, cioè sopprimendo l’agenzia amministrativa. Occorrerà vigilare per comprendere se si tratta di trasformismo gattopardesco o di vero cambio di rotta.
D’altra parte, in Italia la scelta a favore del «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» è già evidente. Il disegno di legge – che rivede le norme per l’accesso, la valutazione e il reclutamento del personale ricercatore e docente universitario – prevede l’abolizione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale e la sua sostituzione con una sorta di “autocertificazione quantitava” direttamente gestita dall’ANVUR.
Se l’Unione Europea non vuole continuare ad eludere il problema di fondo, dovrà porsi più seriamente la questione dell’autonomia accademica e della libertà scientifica, a meno che non voglia seguire il nuovo modello americano in base al quale si decide per decreto qual è la migliore scienza.