Il mio nome è ANVUR: agente (dipendente) con licenza di valutare (numericamente)

Versione 2.0 – 07.02.2024. Versione 1.0 – 21.01.2024 (Zenodo: https://doi.org/10.5281/zenodo.10546644)

I. L’ Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) può essere considerata un’autorità indipendente dal potere esecutivo? I suoi membri esprimono libere idee scientifiche sulla valutazione od opinioni di funzionari amministrativi gerarchicamente sottoposti al potere esecutivo?

Alla prima domanda si deve rispondere in senso negativo: ANVUR non è un’autorità indipendente dal potere esecutivo, è piuttosto un’agenzia dipendente dal potere del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR).

Al secondo quesito occorre rispondere che i funzionari dell’agenzia, quando esprimono idee sulla valutazione e sulla stessa agenzia, sono condizionati sia dalla natura dell’organizzazione sia dalle sue regole interne.

II. Per rispondere alla prima domanda occorre prendere le mosse dal dato normativo.

La legge istitutiva dell’ANVUR parla di “autonomia organizzativa, amministrativa e contabile” (art. 2, c. 138-141 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 convertito con modificazioni nella l. 4 novembre 2006, n. 286, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria).

Ma se si leggono attentamente e per intero le norme rilevanti, la legge parla anche di nomina dei componenti dei componenti dell’organo direttivo (comma 140 del citato art. 2).

“Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono disciplinati:
a) la struttura e il funzionamento dell’ANVUR, secondo principi di imparzialità, professionalità, trasparenza e pubblicità degli atti, e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato;
b) la nomina e la durata in carica dei componenti dell’organo direttivo, scelti anche tra qualificati esperti stranieri, e le relative indennità”.

Nel regolamento attuativo si è interpretata nel modo peggiore la delega di potere normativo. Vedi l’art. 8 c. 3 del d.p.r. 76 del 2010:

“3. I componenti del Consiglio direttivo sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro, sentite le competenti Commissioni parlamentari. Nel Consiglio direttivo devono comunque essere presenti almeno due uomini e almeno due donne. Ai fini della proposta, il Ministro sceglie i componenti in un elenco composto da non meno di dieci e non più di quindici persone definito da un comitato di selezione appositamente costituito con decreto del Ministro. […]”.

Dunque, i componenti del Consiglio direttivo sono riconducibili al Ministro dell’Università. Peraltro, come evidenziato da Maria Chiara Pievatolo nel recente volume “Perché la valutazione ha fallito. Per una nuova Università pubblica“, i membri del comitato di selezione “sono designati rispettivamente dal ministro, dal segretario generale dell’OCSE e dai presidenti dell’Accademia dei Lincei, dell’European Research Council e dal Consiglio nazionale degli studenti. Fra i designatori, l’unico ente elettivo è il Consiglio nazionale degli studenti […]”.

Senza entrare nel dibattito sulla natura di autorità ed agenzie indipendenti, si può sottolineare che questa struttura di governo, tra le tante possibili, è quella che assicura la dipendenza dell’agenzia dal Ministro.

Paradossalmente a sottolinearlo era, in tempi non sospetti, una fautrice della valutazione amministrativa di Stato. Così scriveva Fiorella Kostoris in un articolo intitolato “L’esperienza del CIVR e le prospettive dell’ANVUR nella valutazione della ricerca in Italia” pubblicato nella rivista Statistica & Società del 2008:

l’indipendenza dell’ANVUR è minata dalla mancanza di terzietà rispetto all’Esecutivo e dagli eccessi di controlli da parte dei vari stakeholders: tutti i 7 membri del suo Consiglio Direttivo sono, infatti, scelti direttamente o indirettamente dal Titolare del MUR e a lui o al suo Dicastero riportano, segnalano, propongono”.

Fiorella Kostoris è stata successivamente nominata componente del Consiglio direttivo dell’ANVUR, carica che ha ricoperto dal 2011 al 2015.

III. Ritorniamo ora al secondo quesito di partenza: i membri dell’ANVUR esprimono libere idee scientifiche sulla valutazione od opinioni di funzionari amministrativi gerarchicamente sottoposti al potere esecutivo? Anche per questa domanda si può fare riferimento al dato normativo.

La lettura dell’art. 5 del codice etico dell’ANVUR affronta il punto:

Nelle materie di competenza dell’Agenzia, i membri dell’Agenzia partecipano a convegni, seminari e simili, nonché pubblicano articoli su quotidiani o periodici solo quando la partecipazione o la pubblicazione avvengano nell’interesse dell’Agenzia. Tali attività sono comunicate al Presidente. Nelle materie estranee alla competenza dell’Agenzia, la partecipazione a convegni, seminari e simili, nonché la pubblicazione di articoli su quotidiani o periodici da parte dei membri dell’Agenzia sono libere. E’ altresì non vincolata qualunque pubblicazione a carattere scientifico, nel rispetto della libertà di manifestazione del pensiero da parte di ogni persona“.

La norma è ambigua. Ma non c’è dubbio sul fatto che essa radichi in capo all’agenzia un potere di controllo e di indirizzo sulle attività di pubblica manifestazione del pensiero dei propri membri nelle materie di competenza (cioè nella valutazione). Allora, quando il codice etico fa riferimento alla pubblicazione di carattere scientifico, cosa intende? Se un membro dell’ANVUR volesse pubblicare un articolo scientifico critico nei confronti dell’operato dell’agenzia si sentirebbe libero di farlo? Egli farebbe kantiamentente uso pubblico della ragione?

È lecito dubitare che la risposta alle ultime domande possa essere positiva. L’agenzia non gode né di indipendenza né di reale autonomia dal potere esecutivo. Tant’è che tutte le sue più importanti funzioni sono dirette normativamente dal Ministero. L’agenzia può muoversi solo nel perimetro normativo disegnato dal Ministero.

Beninteso, qui non si sta sostenendo che i membri dell’agenzia non possano esprimersi liberamente sulla valutazione. Anzi, si vuole sostenere esattamente il contrario. Tuttavia, la natura dell’agenzia e le sue regole condizionano la libertà di espressione del pensiero dei sui membri.

Fin qui tutto banale. Ma, venuto meno il timore nei confronti di un potere gerarchicamente sovraordinato, cosa spinge un ex membro a rimanere fedele al credo valutativo?

La ragione di questa inossidabile fedeltà è facile da spiegare. Il tentativo – destinato inesorabilmente a fallire – è quello di giustificare scientificamente un potere valutativo che è invece ontologicamente gerarchico, cioè si fonda, nella metafora usata da Maria Chiara Pievatolo, sulla spada e non sulla bilancia.

Perché si ha bisogno di questa giustificazione? Perché si vorrebbe far passare l’idea che, nell’ambito dell’università e della ricerca, decidere sulla base di indicatori garantisce oggettività e merito. Mentre si tratta soltanto di sostituire il governo democratico del diritto con la governance opaca e autoritaria dei numeri.

IV. Per concludere, le norme giuridiche ci dicono esplicitamente che l’ANVUR è un’agenzia dipendente dal Ministero con licenza di valutare numericamente al fine di decidere sulla distribuzione delle risorse e sullo sviluppo delle carriere di professori e ricercatori italiani.

Il problema dunque si sposta sull’autonomia delle università e sulla libertà scientifico-accademica garantite dell’art. 33 della Costituzione.

In che misura le università possono ancora dirsi autonome in un sistema di valutazione amministrativa di Stato come quello attualmente vigente? E i professori universitari possono dirsi ancora liberi?

La compressione dell’autonomia e della libertà non dipende solo dalle norme emanate dal MUR e dall’ANVUR, ma attiene agli anticorpi presenti nelle università.

Pochi esempi bastano a rendere l’idea. Se la disciplina della valutazione a livello di singolo ateneo si appiattisce su quella ministeriale e dell’agenzia, l’autonomia perde un altro pezzo. Se a livello di singola università si emanano regolamenti che sanzionano atti di protesta contro la valutazione amministrativa di Stato o pretendono di disciplinare il modo in cui i componenti della comunità accademica possono o non possono esprimersi sui mezzi di comunicazione di massa, la libertà di professori ne esce menomata, per non dire: azzerata.

Oggi si discute a livello europeo di riforma della valutazione della ricerca, ma questa discussione non può prescindere dalla disciplina giuridica del modo in cui si valuta, dalla distribuzione del potere valutativo e dalla natura di quest’ultimo. Insomma, non basta immaginare operazioni cosmetiche volte ad ammorbidire il peso degli indicatori. Una seria discussione deve prendere dalle mosse da due fondamentali domande.

1) Chi ha il potere di valutare?

2) Tale potere deriva da una gerarchia amministrativa o dalla ragione della scienza?