La fragilità della democrazia 2

L’estradizione di Assange e la mancata sospensione della proprietà intellettuale per il contrasto del COVID-19

I want you for U.S. Army : nearest recruiting station / James Montgomery Flagg. 1917. Library of Congress..War poster with the famous phrase “I want you for U. S. Army” shows Uncle Sam pointing his finger at the viewer in order to recruit soldiers for the American Army during World War I. The printed phrase “Nearest recruiting station” has a blank space below to add the address for enlisting…http://hdl.loc.gov/loc.pnp/ppmsca.50554

Roberto Caso versione estesa 2.0 21 giugno 2022 pubblicato su Agenda Digitale, 23 giugno 2022 con il titolo “Assange e vaccini, ecco le contraddizioni etiche dell’Occidente“, versione breve 1.0 18 giugno 2022 qui

1. L’estradizione di Assange e la mancata sospensione degli accordi TRIPS sulla proprietà intellettuale

Il 17 giugno 2022 le agenzie di stampa rimbalzavano due notizie apparentemente lontane e slegate.

La prima riguarda la decisione del governo britannico, per mano della ministra Priti Patel, di estradare l’australiano Julian Assange, fondatore nel 2006 di Wikileaks, negli Stati Uniti. Ad Assange e Wikileaks si devono, tra l’altro, la rivelazione dei crimini di guerra statunitensi commessi in Afghanistan e Iraq. Prima un anno e mezzo agli arresti domiciliari, poi rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e infine negli ultimi tre anni recluso in una prigione inglese di massima sicurezza, Assange è privo della libertà personale da quasi dodici anni senza aver subito una condanna (men che meno definitiva). In altri termini, è un cittadino innocente in attesa di un giudizio (di uno Stato straniero). Ha dovuto affrontare decisioni altalenanti dei giudici inglesi per poi subire un ordine di estradizione da parte della ministra Patel. Le sue condizioni fisiche e mentali lo espongono al rischio di perdere la vita. L’ultima speranza, sul piano giuridico, è affidata all’impugnazione dell’atto ministeriale da presentare entro un termine brevissimo e a un eventuale ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani, la quale, peraltro, in questi giorni si è espressa in via d’urgenza contro il Regno Unito bloccando la deportazione di rifugiati in Ruanda.

La seconda concerne la decisione in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO nell’acronimo inglese) di raggiungere un accordo compromissorio nella materia dei brevetti sui vaccini che, in sostanza, lascia intatto l’attuale quadro normativo sulla proprietà intellettuale. In definitiva, l’accordo rigetta la proposta volta a sospendere tutti i diritti di proprietà intellettuale su farmaci, vaccini e dispositivi medici utili a contrastare il COVID-19. La proposta era stata avanzata da India e Sudafrica nell’ottobre del 2020 e poi sostenuta da molti Paesi nonché da un vasto movimento di opinione.

2. La fragilità della democrazia occidentale

Cosa lega le due notizie? La fragilità della democrazia occidentale e di due dei suoi valori fondanti: la libertà (di informazione) e la solidarietà. In questi mesi, la comunicazione dei governi occidentali si concentra, retoricamente, sulle minacce esterne alla democrazia liberale – Russia e Cina in testa – ma tace sulle debolezze e le contraddizioni interne.

La decisione di estradare Assange viene da un governo conservatore, politicamente indebolito, di un Paese che, a seguito della Brexit, appare sempre più allo sbando e prono alla potenza americana. Come ha messo in evidenza Vincenzo Vita su Il Manifesto il meccanismo giuridico inglese che porta all’estradizione è “curioso”. La decisione finale spetta a un ministro. Cioè è una decisione non collegiale di un solo rappresentante del potere esecutivo. La culla della democrazia liberale mostra evidentemente tutte le sue fragilità.

Alcuni commentatori – tra questi Andrea Monti su Repubblica – hanno sostenuto che Assange dovrebbe affrontare il processo negli USA. Ma l’accettazione da parte di un cittadino australiano, detenuto attualmente nel Regno Unito, del processo americano sconterebbe la compressione delle garanzie di giustizia che dipenderebbero dall’applicazione della legge in base alla quale gli Stati Uniti chiedono l’estradizione dell’australiano fondatore di Wikileaks: l’Espionage Act del 1917. L’amministrazione Trump nel maggio del 2019 ha infatti fondato le accuse verso il giornalista Assange sulla legge antispionaggio. Tale legge, nata allo scopo di perseguire penalmente i dissidenti contrari all’entrata degli USA nella prima guerra mondiale e poi a più riprese modificata, non distingue le spie dai whistelblower e non consente di difendersi in base al pubblico interesse. Comunque anche un’eventuale assoluzione – che sembra difficile da immaginare – non restituirebbe ad Assange gli anni di privazione di libertà che gli sono stati inflitti da uno Stato straniero, senza un processo e senza una condanna. Non si tratta quindi di un conflitto tra l’etica personale di un giornalista e il diritto, bensì “fra il diritto interno di un singolo stato, e l’etica di un cittadino straniero”, etica che si associa al diritto fondamentale alla libertà di espressione del pensiero. Insomma, si tratta di una questione giuridica (oltre che etica). Posto che tutti i Paesi occidentali riconoscono la libertà di informare e di essere informati, si tratta di decidere, attraverso gli strumenti del diritto internazionale (conflitto tra leggi territoriali), quale legge applicare. Se si ritiene, a buona ragione, che il diritto statunitense non è il diritto globale, non c’è nussun motivo giuridico che imponga ad Assange e al Paese dove è detenuto in carcere di accettare l’estradizione verso gli USA e il processo americano. Mentre ce ne sono di solidissimi che muovono verso la sua immediata liberazione.

La decisione di non sospendere i diritti di proprietà intellettuale chiude una danza macabra durata più di un anno e mezzo in cui hanno prevalso le pressioni delle Big Pharma per mantenere in piedi un sistema in cui decidono i poteri privati (e non gli elettori dei Parlamenti) e le strategie geopolitiche del blocco occidentale con l’Unione Europea in testa.

Il compromesso raggiunto si limita a consentire ai Paesi in via di sviluppo membri della OMC che non hanno capacità produttiva dei vaccini anti-COVID-19 di far uso di licenze obbligatorie di brevetti per invenzione non solo per la produzione interna, ma anche per l’esportazione verso altri Paesi in via di sviluppo anch’essi membri dell’organizzazione mondiale del commercio al fine di garantire un accesso equo ai vaccini. L’accordo, perciò, concerne i soli brevetti e lascia l’iniziativa ai singoli Stati membri dell’OMC. Per questo si discosta molto dalla proposta inziale di India e Sudafrica che invece riguardava la sospensione dell’accordo internazionale sul commercio in riferimento a tutti i diritti di proprietà intellettuale (non solo i brevetti) su tutti i farmaci (non solo vaccini) e dispositivi medici utili a contrastare la pandemia.

Provando a immedesimarsi negli occhi di chi proviene da Paesi poveri sprovvisti di informazioni, conoscenze e tecnologie per la tutela della salute, tale decisione suona come l’ennesima manifestazione di arroganza del potere coloniale. Il colonialismo, infatti, non funziona solo commettendo genocidi e depredando risorse naturali, ma anche negando beni immateriali (la proprietà intellettuale) che servono a salvare vite umane. Nicoletta Dentico su Sbilanciamoci ha scritto incisivamente sulla vicenda utilizzando la metafora della guerra.

“L’economia della conoscenza scientifica ed i meccanismi legalizzati di ‘appropriazione della scienza’ (come sostengono accreditati economisti) da parte di Big Pharma, anche quando l’innovazione è generata con finanziamenti pubblici (come, ma non solo, nel caso di Covid-19), definisce un crinale di guerra aperta tra il Nord e il Sud del mondo. Nessuno si scandalizzi per il paragone con la guerra tra Russia e Ucraina. Anche questa lo è. […] Su questo fronte, come sul recente conflitto europeo, il multilateralismo esce a pezzi, in un dialogo tra sordi non più in grado di intercettare le istanze di cambiamento e di trovare una mediazione conveniente alla sfida delle future pandemie”.

3. Conclusioni

La mobilitazione in giro per il mondo a favore di Assange può ancora provare a difendere la libertà di espressione. Nel nostro Paese è degna di nota la presa di posizione della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) che per bocca del suo segretario generale Raffaele Lorusso ha dichiarato che:

La decisione del governo di Londra di consentire l’estradizione di Julian Assange negli Usa è un attacco alla libertà di informare”.

La FNSI ha organizzato per il 21 giugno presso la sua sede la presentazione dell’appello contro l’estradizione di Assange promosso dal premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquive con il coinvolgimento, tra gli altri, di Stefania Maurizi, Vincenzo Vita e Armando Spataro.

C’è da augurarsi che si moltiplichino anche le iniziative per difendere la solidarietà e riformare la proprietà intellettuale a livello internazionale e nazionale.

Libertà, eguaglianza e fratellanza (solidarietà). A forza di declamare principi e valori traditi dai fatti non solo perdiamo forza e credibilità verso le minacce provenienti da mondi diversi dal nostro, ma distruggiamo la nostra storia e la nostra identità.

La fragilità della democrazia

L’estradizione di Assange e la mancata sospensione della proprietà intellettuale per il contrasto del COVID-19

Roberto Caso, versione breve 1.0 18 giugno 2022, pubblicata su L’Adige il 20 giugno 2022 con il titolo “La fragile democrazia dell’Occidente“, versione estesa 2.0 21 giugno 2022

Il 17 giugno 2022 le agenzie di stampa rimbalzavano due notizie apparentemente lontane e slegate.

La prima riguarda la decisione del governo britannico, per mano della ministra Priti Patel, di estradare l’australiano Julian Assange, fondatore nel 2006 di Wikileaks, negli Stati Uniti. Ad Assange e Wikileaks si devono, tra l’altro, la rivelazione dei crimini di guerra statunitensi commessi in Afghanistan e Iraq. Prima un anno e mezzo agli arresti domiciliari, poi rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e infine negli ultimi 3 anni recluso in una prigione inglese di massima sicurezza, Assange è privo della libertà personale da quasi dodici anni senza aver subito una condanna (men che meno definitiva). In altri termini, è un cittadino innocente in attesa di un giudizio (di uno Stato straniero). Ha dovuto affrontare decisioni altalenanti dei giudici inglesi per poi subire un ordine di estradizione da parte della ministra Patel. Le sue condizioni fisiche e mentali lo espongono al rischio di perdere la vita. L’ultima speranza, sul piano giuridico, è affidata all’impugnazione dell’atto ministeriale da presentare entro un termine brevissimo e a un eventuale ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.

La seconda concerne la decisione in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO nell’acronimo inglese) di raggiungere un accordo compromissorio nella materia dei brevetti sui vaccini che, in sostanza, lascia intatto l’attuale quadro normativo sulla proprietà intellettuale. In definitiva, l’accordo rigetta la proposta volta a sospendere tutti i diritti di proprietà intellettuale su farmaci, vaccini e dispositivi medici utili a contrastare il COVID-19. La proposta era stata avanzata da India e Sudafrica nell’ottobre del 2020 e poi sostenuta da molti Paesi nonché da un vasto movimento di opinione.

Cosa lega le due notizie? La fragilità della democrazia occidentale e di due dei suoi valori fondanti: la libertà (di informazione) e la solidarietà. In questi mesi, la comunicazione dei governi occidentali si concentra, retoricamente, sulle minacce esterne alla democrazia liberale – Russia e Cina in testa – ma tace sulle debolezze e le contraddizioni interne.

La decisione di estradare Assange viene da un governo conservatore, politicamente indebolito, di un Paese che, a seguito della Brexit, appare sempre più allo sbando e prono alla potenza americana. Come ha messo in evidenza Vincenzo Vita su Il Manifesto il meccanismo giuridico inglese che porta all’estradizione è “curioso”. La decisione finale spetta a un ministro. Cioè è una decisione non collegiale di un solo rappresentante del potere esecutivo. La culla della democrazia liberale mostra evidentemente tutte le sue fragilità.

La decisione di non sospendere i diritti di proprietà intellettuale chiude una danza macabra durata più di un anno e mezzo in cui hanno prevalso le pressioni delle Big Pharma per mantenere in piedi un sistema in cui decidono i poteri privati (e non gli elettori dei Parlamenti) e le strategie geopolitiche del blocco occidentale con l’Unione Europea in testa. Provando a immedesimarsi negli occhi di chi proviene da Paesi poveri sprovvisti di informazioni, conoscenze e tecnologie per la tutela della salute, tale decisione suona come l’ennesima manifestazione di arroganza del potere coloniale. Il colonialismo, infatti, non funziona solo commettendo genocidi e depredando risorse naturali, ma anche negando beni immateriali (la proprietà intellettuale) che servono a salvare vite umane. Nicoletta Dentico su Sbilanciamoci ha scritto incisivamente sulla vicenda utilizzando la metafora della guerra.

“L’economia della conoscenza scientifica ed i meccanismi legalizzati di ‘appropriazione della scienza’ (come sostengono accreditati economisti) da parte di Big Pharma, anche quando l’innovazione è generata con finanziamenti pubblici (come, ma non solo, nel caso di Covid-19), definisce un crinale di guerra aperta tra il Nord e il Sud del mondo. Nessuno si scandalizzi per il paragone con la guerra tra Russia e Ucraina. Anche questa lo è. […] Su questo fronte, come sul recente conflitto europeo, il multilateralismo esce a pezzi, in un dialogo tra sordi non più in grado di intercettare le istanze di cambiamento e di trovare una mediazione conveniente alla sfida delle future pandemie”.

La mobilitazione in giro per il mondo a favore di Assange può ancora provare a difendere la libertà di espressione. Nel nostro Paese è degna di nota la presa di posizione della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) che per bocca del suo segretario generale Raffaele Lorusso ha dichiarato che:

“La decisione del governo di Londra di consentire l’estradizione di Julian Assange negli Usa è un attacco alla libertà di informare”

La FNSI organizza per il 21 giugno presso la sua sede la presentazione dell’appello contro l’estradizione di Assange promosso dal premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquive alla quale saranno presenti, tra gli altri, Stefania Maurizi, Vincenzo Vita e Armando Spataro.

C’è da augurarsi che si moltiplichino anche le iniziative per difendere la solidarietà e riformare la proprietà intellettuale a livello internazionale e nazionale.

Libertà, eguaglianza e fratellanza (solidarietà). A forza di declamare principi e valori traditi dai fatti non solo perdiamo forza e credibilità verso le minacce provenienti da mondi diversi dal nostro, ma distruggiamo la nostra storia e la nostra identità.

Assange, la nostra democrazia e la libertà di informazione in tempi di guerra

https://it.wikipedia.org/wiki/WikiLeaks#/media/File:Wikileaks_logo.svg

Roberto Caso, 5 aprile 2022, pubblicato su l’Adige del 9 aprile 2022 con il titolo “Assange e la libertà di informazione“, e su Agenda Digitale del 13 aprile 2022 con il titolo “La libertà di Assange è la libertà di tutti: ma l’occidente vuole ancora difenderla?

L’orribile guerra in atto vede un Paese aggredito (l’Ucraina) e un Paese aggressore (la Russia). Qualsiasi discussione sul conflitto, sulle responsabilità e sulle speranze di pace deve partire da tale dato di fatto e di realtà. Questa è anche la premessa delle riflessioni contenute nelle righe che seguono.

In alcune narrazioni correnti si presenta la guerra come uno scontro tra democrazie (l’Ucraina e i Paesi occidentali che la supportano) e autocrazie (la Russia e i suoi alleati). Se si condividono questa narrazione e i suoi presupposti concettuali, allora occorre ricordare che un pilastro delle democrazie moderne è costituito, storicamente, dalla libertà di stampa (e di informazione).

Le autocrazie invece comprimono o azzerano la libertà di espressione del pensiero e di accesso alle informazioni. E lo fanno, quando imbracciano le armi, anche per nascondere crimini di guerra. È di pochi giorni fa, il 28 marzo, la notizia della chiusura da parte delle autorità russe del periodico indipendente Novaja Gazeta diretto dal premio Nobel per la Pace Dmitrij Muratov. Sulla Novaja Gazeta sono apparse, tra le altre, le inchieste di Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. Com’è noto, la giornalista russa si era impegnata a descrivere e denunciare (anche al mondo occidentale) gli abomini commessi durante la guerra in Cecenia.

Ma le nostre democrazie occidentali difendono ancora il principio costituzionale della libertà di informazione come proprio pilastro fondamentale? I motivi di preoccupazione rispetto a tale libertà sono molti e attengono al fatto (arcinoto) che lo scontro tra democrazia e autocrazia è anche interno agli stessi Paesi occidentali, pur non essendo immune da interferenze esterne.

Da questo punto di vista, la vicenda umana e giudiziaria di Julian Assange è esemplare. Assange è un informatico, giornalista e attivista australiano, fondatore nel 2006 di Wikileaks, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro, che pubblica sul web informazioni classificate (coperte da segreto di Stato) provenienti da fonti anonime. Attraverso apposite tecnologie – prima fra tutte la crittografia – Wikileaks protegge se stessa e le sue fonti.

La sua attività è divenuta di interesse globale quando nel 2010 ha iniziato a pubblicare informazioni riservate riguardanti le operazioni militari statunitensi in Iraq e Afghanistan. Il 5 aprile del 2010 Assange e i suoi collaboratori pubblicano un video del pentagono “Collateral Murder” nel quale si vede una scena risalente al luglio del 2007: un elicottero americano Apache mentre stermina civili inermi a Bagdad. Il video divenne subito virale. Lo ricorda Stefania Maurizi, giornalista investigativa e collaboratrice di Assange, in un libro importante – “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks” – che ripercorre la storia del giornalista austrialiano e della sua organizzazione.

Sono passati 12 anni da quel 5 aprile. Giorno in cui uno dei crimini di guerra commesso da una democrazia occidentale divenne di dominio pubblico. In tutto questo tempo Assange è stato perseguitato e privato della propria libertà: prima rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e poi negli ultimi 3 anni recluso in una prigione inglese di massima sicurezzza. Ora la sua estradizione verso gli USA sembra vicina, come vicina sembra la pena detentiva a vita che dovrà scontare in terra americana.

Collaboratori, familiari e legali di Assange non si sono ancora arresi. Proveranno in ogni modo a impedire la sua estradizione e a farlo tornare in libertà. Dovremmo tutti essere grati a queste persone e a Stefania Maurizi in particolare che si batte da anni per avere giustizia su uno dei casi giudiziari più importanti degli ultimi decenni. Perché la libertà (personale) di Assange è anche la nostra libertà (di informazione).

Non possiamo dirci oppositori dell’autocrazia se non sappiamo (o non vogliamo) difendere il tratto più distintivo della nostra democrazia: la libertà di informazione.

“La democrazia muore nell’oscurità”. Così recita il motto di un noto quotidiano americano. Quelle parole oggi si riferiscono non solo al fumo delle bombe, ma anche alla coltre di segreti, menzogne e falsità che fanno velo sulle atrocità commesse dagli uomini dopo che quella stessa venefica polvere si è finalmente dissolta.

Big Pharma, capitalismo dei monopoli intellettuali e democrazia

Roberto Caso, 19 febbraio 2022, pubblicato su “L’Adige”, 4 marzo 2022, con il titolo “Vaccini e farmaci. Grandi monopoli, l’ora di cambiare“.

Nelle ultime settimane il dibattito sul contrasto tra proprietà intellettuale e diritti umani fondamentali (diritto alla vita, diritto alla salute, diritto alla scienza) si è nutrito di alcune notizie riguardanti brevetti e segreti industriali sui vaccini anti-COVID19.

a) Due ricercatori, Peter Hotez e Maria Elena Bottazzi, sono stati candidati al premio Nobel per la pace per aver messo a punto, sulla scorta di studi condotti negli USA all’interno del Texas Children’s Hospital e del Baylor College of Medicine, un vaccino anti COVID-19 privo di brevetti: il CORBEVAX.

b) Un’azienda sudafricana che opera a Cape Town nell’ambito dell’hub di trasferimento tecnologico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha quasi completato la riproduzione del vaccino Moderna, senza la collaborazione di quest’ultima. Insomma, ha compiuto un processo di ingegneria inversa: ha decostruito e poi ricostruito la tecnologia vaccinale della compagnia americana. Nel frattempo la richiesta di concessione a Moderna di brevetti in Sudafrica ha messo in allarme questo tipo di progetto. L’ingegneria inversa del vaccino potrebbe finire in tribunale qualora Moderna decida di far causa all’impresa sudafricana per violazione dei suoi brevetti.

c) Una decisione dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) del Ministero dello Sviluppo Economico ha concesso ad AstraZeneca, Pfizer e Moderna un’estensione della durata di protezione del monopolio brevettuale su tecnologie connesse ai vaccini. Tecnicamente queste estensioni si chiamano certificati di protezione complementare e servono, nel campo farmaceutico, ad andare oltre la canonica durata del brevetto che è di vent’anni. Vittorio Agnoletto, promotore di una petizione – Iniziativa dei Cittadini Europei – per il diritto alla cura e la sospensione dei brevetti, ha denunciato questa vicenda su Radio Popolare e sul Fatto quotidiano. Ne è nata una polemica con il MISE.

d) La Presidente della Commissione Europea Ursula von Der Leyen è oggetto di alcune inchieste sulla scarsa trasparenza dei sui rapporti con le Big Pharma. Ne dà conto in una serie di articoli del quotidiano Domani la giornalista Francesca De Benedetti.

e) L’Unione Europea ha respinto la richiesta dell’Unione Africana (UA) di sospensione a livello del trattato internazionale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio dei brevetti sui vaccini anti-covid. Nella dichiarazione congiunta frutto dell’incontro da poco conclusosi tra UE e UA, l’Europa afferma di voler andare oltre la logica della donazione dei vaccini del meccanismo COVAX – finora dimostratosi fallimentare – e di supportare i progetti in corso per allineare la produzione di farmaci e vaccini in Africa ai bisogni del continente. In altre parole, buone intenzioni per il futuro che contrastano con un presente incentrato sulla difesa a oltranza delle industrie farmaceutiche detentrici della proprietà intellettuale.

Volendo trarre una sintesi da questi fatti si evince che le posizioni, dopo due anni di pandemia, rimangono quelle di partenza. Da una parte, c’è chi difende il sistema del capitalismo dei monopoli intellettuali basato su individualismo, competizione e profitto e dall’altra c’è chi lo sfida sulla scia di principi etici, invocati più volte da Papa Francesco e da molti altri, quali la cooperazione, la solidarietà, i beni comuni della conoscenza e la scienza aperta.

Ma al di là dei fatti che diventano notizie diffuse dai mass media sta maturando nel dibattito scientifico e nel suo riflesso divulgativo una riflessione profonda che va oltre misure emergenziali come la sospensione a livello di trattati internazionali dei brevetti sui vaccini.

Ne è un esempio l’ultimo libro-intervista di Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche – IRCCS Mario Negri. Nel volume edito da Il Mulino e intitolato “Brevettare la salute? Una medicina senza mercato” il grande farmacologo italiano dialoga con la giornalista e divulgatrice scientifica Caterina Visco su proprietà intellettuale e farmaci.

La ricetta di Garattini per migliorare le attuali politiche di produzione dei farmaci è importante ed articolata (pp. 85-119, 125).

1) Abolire i marchi dei farmaci per permetterne la commercializzazione con il solo nome generico.

2) Evitare la brevettazione di prodotti che hanno lo stesso meccanismo d’azione pur con una struttura chimica differente.

3) Garantire il brevetto solo ai prodotti che dimostrano un “valore terapeutico aggiunto” rispetto a quelli già esistenti.

4) Dimostrare il “valore terapeutico aggiunto” attraverso studi clinici comparativi condotti da enti scientifici indipendenti.

5) Se il nuovo farmaco è migliore, abolire il brevetto dei farmaci con un rapporto meno favorevole tra rischi e benefici.

6) Vietare la brevettazione di prodotti esistenti in natura: geni, proteine oppure processi fisiologici.

7) Sperimentare, ad esempio, a livello europeo la creazione di gruppi di strutture pubbliche e fondazioni non-profit con adeguate competenze per poter procedere da un’idea di farmaco, attraverso la ricerca preclinica, fino a studi di fase 3 (quelli che coinvolgono un elevato numero di pazienti e devono determinare validità, utilità e usabilità).

Un altro esempio di riflessione che va oltre le misure emergenziali e che si lega al punto 7) della ricetta di Garattini è il libro dell’economista Massimo Florio edito da Laterza e intitolato “La privatizzazione della conoscenza“. L’alternativa ai monopoli ed oligopoli intellettuali, come quelli delle Big Pharma, è rappresentata da grandi imprese pubbliche europee di infrastruttura di ricerca e sviluppo. Una di queste “Biomed Europa” sarebbe destinata non solo alla ricerca ma anche alla produzione e alla distribuzione di nuovi farmaci. La proposta da Massimo Florio e altri suoi colleghi è stata presentata al Parlamento Europeo lo scorso dicembre 2021.

L’ultimo esempio che vale la pena citare è rappresentato dal libro del giurista americano Tim Wu intitolato emblematicamente “La maledizione dei giganti. Un manifesto per la concorrenza e la democrazia” (Il Mulino, 2021). In questo pamphlet Wu sostiene che occorre urgentemente tornare a un’aggressiva politica antimonopolistica che blocchi le concentrazioni e provveda, quando necessario, allo smembramento delle grandi compagnie monopolistiche od oligopolistiche. Non si tratta solo di una questione di mercato, ma di democrazia. Ritornando alla storia dei primi decenni del ‘900, Wu ripercorre le tappe che portarono in Germania e in Giappone all’alleanza tra monopoli industriali e regimi totalitari.

Non sorprende che tra gli esempi dei grandi oligopoli dell’era contemporanea ci siano le Big Pharma. A pag. 121 si legge “il settore farmaceutico, che era stato opportunamente frammentato, ha attraversato un enorme processo di concentrazione tra il 1995 e il 2015, quando migliaia di aggregazioni hanno ridotto il mercato internazionale da oltre 60 imprese a circa 10”.

Insomma, il dibattito sulle disuguaglianze e sui rischi per la democrazia ingenerati dai grandi monopoli e oligopoli intellettuali sta maturando. Non resta che tradurlo in politica e diritto. C’è qualcuno in ascolto?