28.05.2025

In un recente post del LPE Project la giurista Salomé Viljoen della University of Michigan Law School offre l’ennesima prova di come i governi autoritari si basino sul controllo dei dati. Com’è noto, nell’era digitale la sorveglianza di massa è resa più facile dal potere di controllo accentrato dei dati insito in determinati sistemi come i social network di proprietà delle Big Tech.
La vicenda narrata da Viljoen suscita interesse perché evidenzia come il vero scopo del Department of Government Efficiency (DOGE) voluto da Trump 2.0 e affidato a Musk non sia tanto l’efficientamento della macchina amministrativa e il risparmio della spesa pubblica, quanto un nuovo governo federale dei dati basato su un’architettura tecnologica accentrata al servizio della sorveglianza di massa. Una sorveglianza strumentale alle politiche trumpiane come il contrasto all’immigrazione e alla tutela dei diritti LGBT.
Nel tradizionale governo federale dei dati sussistono – almeno sulla carta e al netto di tutto quello che sappiamo sulle pratiche delle varie agenzie americane di spionaggio – ancora alcuni argini a difesa delle libertà fondamentali dei cittadini e in particolare a difesa della privacy. Invece, nel DOGE il ruolo dell’amministrazione pubblica recede a favore del potere delle Big Tech della Sylicon Valley.
Scrive in proposito Viljoen:
“Eliminando i team [di dipendenti federali] che creano e condividono preziose forme di raccolta dati federali, DOGE sta aprendo la strada alle alternative private a scopo di lucro (un sogno a lungo coltivato per il National Weather Service), mentre ostacola la capacità pubblica di misurare e comprendere la società americana (ad esempio, tracciare la mortalità materna nell’America post-Dobbs [la sentenza della Corte Suprema federale che ha limitato il diritto all’aborto]). Questi attacchi al sistema di governo dei dati federali si associano a un più ampio attacco alla creazione e alla diffusione della conoscenza per il bene pubblico, incarnati nel recente tentativo di cancellare le sovvenzioni per i servizi bibliotecari e nello smantellamento del sistema federale di supporto alla ricerca scientifica di base”.
Quanto rilevato dalla giurista della University of Michigan Law School trova conferma nel fatto che le recenti azioni contro migliaia di studenti stranieri ospitati dalle università americane sono partite proprio dalla decisione improvvisa e priva di qualsiasi garanzia procedurale di mutare lo status degli stessi studenti all’interno della banca dati (Student and Exchange Visitor Information System) che registra le informazioni personali.
V. anche:
G. Pascuzzi, Trump e le Università e la ricerca, 27.03.2025
R. Caso, Otto giuristi scrivono sull’attacco di Trump alle università americane, 30.03.2025
R. Caso, Harvard respinge le minacce dell’amministrazione Trump, 15.04.2025
R. Caso, Giudici a difesa dell’università, 25.05.2025
R. Caso, Trump decide per decreto qual è la migliore scienza (di Stato), 27.05.2025