Il paper si può scaricare in Open Access su Zenodo.
Qui di seguito l’abstract:
“Il nesso tra diritto umano alla scienza e Open Science (scienza aperta) è stato indagato nella letteratura e recentemente formalizzato nel Commento generale nr. 25 (2020) del Comitato dei diritti economici, sociali e culturali del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite all’art. 15 (1) (b) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Questo breve scritto è dedicato a evidenziare alcuni aspetti di tale nesso con particolare riferimento al ruolo che ‘il diritto umano alla scienza aperta’ può svolgere in tempi di pandemia”.
I. Viviamo tempi di
smarrimento e confusione. In momenti come questi, non è inusuale incontrare
opinioni sul futuro. È forse una via di fuga dall’incertezza del presente che
ci attanaglia.
Voci autorevoli
hanno sostenuto che l’umanità dopo la pandemia del Covid-19 non sarà più la
stessa[1].
Gli ottimisti affermano che noi esseri umani saremo migliori. I pessimisti prevedono
che ripeteremo gli errori del passato, aggravandoli e aprendo le porte a una
nuova minaccia per noi, per le altre specie e per il pianeta.
E la scienza? Sarà
migliore? Non è una domanda banale.
Alcuni ritengono che
la scienza sia l’unica risorsa che abbiamo per vincere la battaglia contro il
nuovo coronavirus. Altri evidenziano che potevamo giungere più preparati a una
minaccia che era stata paventata da tempo. Ad esempio, si poteva continuare a
investire nella ricerca sviluppata a valle delle ultime gravi epidemie da
coronavirus come quelle della SARS e della MERS.
Insomma, se non
siamo giunti abbastanza attrezzati di fronte a questa nuova emergenza globale non
è solo per il nostro stile di vita, ma anche perché qualcosa non ha funzionato
nella scienza nonché nella sua interazione con la società e con le sue
istituzioni (a cominciare dalla politica).
II. Uno dei mali
della scienza attuale è la confusione tra profitto e ricerca. Tra le ricadute
di questa commistione risalta la chiusura della conoscenza scientifica dietro
recinti di proprietà intellettuale. La proprietà intellettuale spinge ad
arrivare per primi e prendere tutto (in esclusiva). “The winner takes all”. In
altri termini, induce più a competere che a cooperare.
Il meccanismo della
proprietà intellettuale è stato pensato per il mercato ed è intrinsecamente
imperfetto. È imperfetto perché i diritti di proprietà intellettuale sono piccoli
monopoli legali, dunque rappresentano anomalie nell’idealizzazione del mercato
concorrenziale. Sono anomalie tollerate – dice la teoria dominante[2]
– perché, a patto che non siano monopoli troppo estesi, incentivano
investimenti nella macchina della produzione dell’informazione che altrimenti
non sarebbe in grado di funzionare. Sono anomalie pensate per gli attori del
mercato (principalmente le imprese) e non per università e ricercatori.
Nel modello ideale la
ricerca di base rimane appannaggio del settore pubblico ed è aperta, priva cioè
delle barriere della proprietà intellettuale. È invece sul piano della ricerca
applicata e dello sviluppo della tecnologia da parte delle imprese che i
diritti di proprietà intellettuale giocano (o dovrebbero giocare) il proprio
ruolo incentivante. A patto che, si diceva, l’esclusiva non sia troppo estesa e
che sia garantito un ampio e robusto pubblico dominio. Perché la conoscenza si
costruisce in modo cumulativo e incrementale, rielaborando le acquisizioni
precedenti. Ad esempio, i brevetti per invenzione durano massimo vent’anni. Il copyright
non copre le idee, le formule matematiche, i metodi scientifici, i fatti e i
dati.
Tuttavia, da alcuni
decenni questo modello ha subito due forme di degenerazione. Da una parte, i
diritti di proprietà intellettuale sono stati estesi a dismisura alimentando vere
e proprie posizioni di dominio sul mercato. Dall’altra, la proprietà
intellettuale ha colonizzato il mondo della ricerca di base (originariamente)
non orientata al profitto: ad esempio, alcune università hanno acquisito ampi
portafogli brevettuali che sfruttano aggressivamente sul mercato.
Di più, i
ricercatori, le università e le società scientifiche hanno consegnato il loro
sistema di comunicazione e di valutazione a un pugno di imprese. Il diritto
d’autore accademico da strumento di libertà e responsabilità si è trasformato
in meccanismo di asservimento agli ingranaggi dell’apparato valutativo basato su
metriche citazionali[3].
La degenerazione è
particolarmente evidente nel settore biomedico. Beni strategici come i vaccini,
i farmaci, le banche dati della scienza biomedica e alcune infrastrutture di
Internet sono nelle mani di pochi attori del mercato. Le loro scelte sono
naturalmente orientate al profitto e non al progresso della conoscenza.
Ad esempio, le
grandi case farmaceutiche accumulano brevetti e investono in ciò che in base ai
loro calcoli previsionali può garantire profitto[4].
Se la minaccia di un nuovo coronavirus viene ritenuta remota, esse non svilupperanno
la ricerca di questo settore.
Ancora. Il sistema
di comunicazione e di valutazione della scienza incentrato sulle misure citazionali
è chiuso dal lucchetto del copyright (più precisamente: del copyright, dei
contratti e delle protezioni tecnologiche). Buona parte di tale sistema è nelle
mani di pochi grandi editori commerciali (ora imprese di analisi
dell’informazione) che vendono a carissimo prezzo l’accesso temporaneo alle
proprie banche dati. Non si tratta solo di una questione di barriere economiche
all’accesso. Gli oligopoli della scienza producono gravi effetti collaterali
sul piano culturale. È stato, ad esempio, evidenziato che il dominio della
lingua inglese come lingua franca della scienza riduce le opportunità di
accesso alle informazioni aggiornate da parte dei medici che non la conoscono[5].
In situazioni di emergenza, come quella che stiamo vivendo, ciò rappresenta un
grave problema.
La proprietà
intellettuale rende inaccessibili a buona parte dell’umanità gli strumenti per
difendersi da minacce come il Covid-19. Si pensi ai molti Paesi dell’Africa che
non possono certo permettersi né i costosissimi brevetti su farmaci, vaccini e
altri dispositivi medici né gli abbonamenti alle banche dati già diventati
proibitivi per molte istituzioni accademiche occidentali.
III. Tralasciando i brevetti per invenzione e concentrandosi sul copyright, occorre evidenziare che, dopo l’esplosione dell’epidemia del Covid-19, alcuni grandi editori scientifici hanno aperto le pubblicazioni scientifiche utili allo studio del nuovo coronavirus. Una massa di pubblicazioni che prima era accessibile solo pagando prezzi esorbitanti ora è (temporaneamente) in Open Access[6]. Non si tratta solo di iniziative spontanee, ma anche di risposte a puntuali richieste che vengono da alcuni Paesi[7] e da alcuni enti finanziatori[8].
Più dei gesti “caritatevoli”,
parziali e temporanei degli editori commerciali contano le azioni dei ricercatori,
dei docenti, dei bibliotecari, delle istituzioni della scienza, dei giornalisti
o divulgatori scientifici e del pubblico. Queste azioni potrebbero migliorare
definitivamente l’intero ecosistema di comunicazione della scienza e non solo
quello riguardante l’attuale emergenza sanitaria.
Ricercatori e
istituzioni scientifiche, mettendo a frutto le infrastrutture e le prassi
dell’Open Science, stanno compiendo enormi sforzi per condividere in tempo
reale le informazioni scientifiche (dati e pubblicazioni). Si pensi alla
condivisione dei dati genetici relativi al Covid-19 su banche dati ad accesso
aperto[9].
Si pensi alla pubblicazione immediata dei c.d. preprint – bozze non sottoposte alla forma di revisione paritaria
oggi in voga che implica procedure lunghissime e opache, per lo più basate
sull’anonimato dei revisori – di articoli scientifici, che vengono discussi
pubblicamente su archivi ad accesso aperto[10].
I docenti stanno
riversando su Internet un’immensa quantità di risorse didattiche.
I bibliotecari
costruiscono strumenti di comunicazione che guidano il pubblico verso fonti
affidabili e mettono in guardia da bufale e fake
news[11].
I giornalisti
scientifici moltiplicano i canali di comunicazione che fanno da ponte tra la
scienza e il pubblico.
Il pubblico
partecipa alla discussione interagendo con gli scienziati, ponendo domande,
condividendo dati e formulando opinioni.
Questo nuovo
ecosistema non è privo di difetti, di debolezze, di rischi.
a) La struttura
attuale di Internet è dominata da grandi piattaforme commerciali come quelle
cui fanno capo motori di ricerca e social media. Il principale business di
queste entità commerciali si basa sulla profilazione compiuta attraverso il
trattamento dei dati personali. In questo momento tutti i mass media e in
particolare quelli che operano su Internet stanno orientando il business verso
la paura. La paura non è il migliore contesto in cui effettuare scelte
razionali.
b) La ruvidità delle
dispute tra scienziati appartiene alla storia della scienza. Ma oggi le discussioni
tra scienziati si giocano su regole comunicative diverse. Quelle dei social
media. Litigi, offese e insulti attirano attenzione e generano traffico di
dati, ma fanno velo sulla sostanza del dibattito. Il rischio della semplificazione
è tangibile. Alcuni scienziati sembrano più interessati ad apparire che a
comunicare[12].
c) Il nuovo
ecosistema della scienza che sta nascendo è pur sempre basato su politiche che
spingono alla competizione e alla logica del vincitore che prende tutto il
prima possibile. Il rischio di vedere sempre più annunci trionfalistici sul
vaccino a breve e sul farmaco miracoloso è concreto.
Nonostante questi limiti, il nuovo ecosistema aperto di comunicazione della scienza che sta emergendo con forza in questo frangente della storia è migliore di quello precedente all’avvento di Internet. Maggiore rapidità di circolazione delle informazioni su scala globale, più opportunità di controllare e replicare le ricerche, ampie possibilità di coordinare gli sforzi profusi nello studio.
Se però vogliamo
davvero una scienza migliore, dobbiamo ricostruire le fondamenta su cui poggia
il sistema di comunicazione. In altri termini, dobbiamo far prevalere la cooperazione
sulla competizione. L’apertura significa essenzialmente questo. Più
condivisione e solidarietà. Disintossicare la scienza dal veleno della
competizione per l’eccellenza[13],
tornare su scala planetaria a investire ingenti risorse pubbliche nella scienza
e restringere i diritti di proprietà intellettuale sono alcuni tra gli obiettivi
politici più importanti. Dal punto di vista dei diritti umani si tratta di dare
attuazione al diritto alla scienza[14],
anche nell’accezione di diritto ad accedere in modalità aperta ai risultati
della scienza, e di metterlo in connessione con il diritto alla salute[15].
A quest’ultimo
proposito, nei drammatici giorni attuali colpiscono le discussioni surreali su
come (non) attuare l’Open Access nel prossimo esercizio di valutazione della
ricerca da parte dell’Agenzia ministeriale deputata alla funzione (il
riferimento è alla prossima VQR dell’ANVUR)[16].
Giace oramai da mesi nei cassetti del Senato la timida ma meritoria proposta
Gallo che farebbe compiere un piccolo passo all’Italia sulla strada del diritto
di ripubblicazione in Open Access[17].
L’esperienza del
Covid-19 dimostra che ci sarebbe bisogno di norme coraggiose e di una politica
che viri urgentemente e con decisione verso la scienza aperta non incentrata
sul mercato.
Se l’auspicato mutamento
definitivo del sistema di comunicazione della scienza si verificherà non sarà
perché la classe dirigente ora al potere verrà folgorata da una salvifica illuminazione.
Sarà per merito delle nuove generazioni che porranno in essere un cambiamento
profondo.
IV. La storia dimostra
che le grandi epidemie come quelle della peste sono potenti fattori di
mutamento della società[18].
Il flagello del
Covid-19 ci mette di fronte ad alcune scelte fondamentali che attengono alla
politica, alla scienza, al nostro stile di vita, ai valori che tengono insieme
la società[19].
Dobbiamo scegliere
tra egoismo e solidarietà. Tra chiusura e condivisione. Tra autoritarismo e
democrazia.
La scienza è un
campo fondamentale sul quale effettueremo queste scelte.
Nel chiudere queste pagine mi torna in mente il “Il giudizio universale” di
Vittorio De Sica. Molti ricorderanno la trama. All’improvviso risuona dal cielo
una voce stentorea che preannuncia a breve il giudizio universale. Anche le
persone più ciniche sembrano mutare d’animo e diventare più solidali e
compassionevoli. Ma quando la prospettiva del giudizio e delle sue conseguenze si
dissolve (riappare il sole dopo il diluvio), gli esseri umani tornano alle miserie
e alle nefandezze di sempre. Speriamo di non dover assistere a un finale simile
a quello del film.
Mi piace pensare che
non sia solo la paura a far immaginare un mondo migliore, e che, passata
l’emergenza, la gente scelga con convinzione la via che anche nella scienza conduce
a più condivisione, cooperazione e solidarietà.
[1] D. Grossman, Dopo la peste torneremo ad essere umani, in La Repubblica, 20 marzo 2020, trad. it. A. Shomroni
dall’orig. The Plague Is a Formative
Event. When It Fades, New Possibilities Will Emerge, in Haaretz, Mar. 21, 2020,
https://www.haaretz.com/israel-news/.premium.MAGAZINE-the-plague-is-a-formative-event-when-it-fades-new-possibilities-will-emerge-1.8687842
[2] È noto che ci sono teorie minoritarie
che sostengono la dannosità intrinseca della proprietà intellettuale.
[3] R. Caso, La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e
proprietà intellettuale, Milano, Ledizioni, 2020, https://www.ledizioni.it/download/26281,
spec. 127 ss.
[4] J.E. Stiglitz, Economic
Foundations of Intellectual Property Rights, in Duke Law Journal, vol. 57, No. 6 (Apr., 2008), 1693, 1710 ss.,
1718-1719.
[5] V. Larivière, F. Shuet, C.R. Sugimoto, Coronavirus et édition savante : une question de transmission, in Acfas Magazine, 13 février 2020, https://www.acfas.ca/publications/magazine/2020/02/coronavirus-edition-savante-question-transmission
[6] V. ad es. Calling all
coronavirus researchers: keep sharing, stay open, in Nature, 578 (7) 2020; X. Xu, The
hunt for a coronavirus cure is showing how science can change for the better,
in The Conversation, Feb. 24, 2020. Tra gli ultimi ad aprire i
lucchetti vi è JSTOR, un’immensa banca dati scientifica che incrocia le vicende
di Aaron Swartz, il giovane scienziato informatico e attivista statunitense che
si batteva per l’Open Access e che era stato accusato di gravi crimini federali
americani per essersi connesso alla rete del MIT e aver scaricato una grande
quantità di articoli scientifici da JSTOR. Quando il procedimento penale era in
corso Swartz si suicidò nel gennaio del 2013 all’età di ventisei anni. V.
Neetha K., Aaron Swartz: As JSTOR opens
it doors amid pandemic, people laud hacker who fought for access to knowledge,
Mar. 22, 2020, https://meaww.com/aaron-swartz-life-users-call-out-jstor-open-access-public-during-coronavirus-pandemic-suicide
[7] S. Harrison, Global Officials
Call for Free Access to Covid-19 Research, in Wired, 03.13.2020.
[8] Il direttore di Wellcome Trust
chiedeva l’Open Access a tutti i risultati della ricerca sul nuovo coronavirus
già il 22 gennaio 2020, v. R. Pells, Coronavirus
and Ebola: could open access medical research find a cure?, in The Guardian, Jan. 22, 2020. È da ricordare
che analoghi appelli furono lanciati agli editori in occasione delle epidemie
di Zika ed Ebola, ma rimasero inascoltati. L’atteggiamento dei grandi editori
commerciali è stato definito una criminale ipocrisia: V. W.J. van Gerven Oei, Viral Open Access in Times of Global
Pandemic, in Punctumbooks, Mar 19,
2020, https://punctumbooks.pubpub.org/pub/viral-open-access-global-pandemic-covid-19-corona/branch/.
L’autore dell’articolo rileva, inoltre, a proposito dell’epidemia di Covid-19 che,
mentre ancora gli oligopolisti non si erano mossi, sull’archivio “pirata” Sci-Hub
a gennaio 2020 erano già disponibili 5000 articoli sulle ricerche scientifiche
correlate alla nuova emergenza.
[9] Il riferimeno è alle banche dati
GenBank (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/genbank/), Nextstrain
(https://nextstrain.org/), Gisaid (https://www.gisaid.org/). La virologa Ilaria
Capua nel 2006 scelse di pubblicare in Open Access su GenBank la sequenza
genetica del virus H5N1 dell’influenza aviaria (la vicenda è ripercorsa in Una rivoluzione
virale, in Le Scienze, 2 aprile 2016,
https://www.lescienze.it/news/2016/04/02/news/una_rivoluzione_virale-3036716/).
GISAID è un’iniziativa volta a promuovere la condivisione delle sequenze
genetiche di tutte le influenze virali. Si tratta di una delle infrastrutture
comunicative delle rete mondiale di monitoraggio dell’influenza. In proposito
si veda, per un ampio approfondimento, A. Kapczynski, Order Without Intellectual Property Law: Open Science in Influenza
(November 6, 2017). Cornell
Law Review, Vol. 102, No. 6, 2017; Yale Law School, Public Law
Research Paper No. 623. Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3066162
[10] K. Kupferschmidt, ‘A completely new culture of doing
research.’ Coronavirus outbreak changes how scientists communicate, in Science, Feb. 26, 2020, https://www.sciencemag.org/news/2020/02/completely-new-culture-doing-research-coronavirus-outbreak-changes-how-scientists
[11] V, ad es., Veneto Health Library, https://venetohealthlibrary.wordpress.com/sars-cov-2-covid-19/,
nonché il blog BiblioVerifica della biblioteca Vilfredo Pareto dell’Università
Torvergata http://biblioverifica.altervista.org/covid19/?fbclid=IwAR3VRin85fjE3kKH8kBRWA_uBG9n1NiypgJ4GN3NeocHwd4r-cRKxMgC6j4
[12] Cfr. M. Sandal, Il coronavirus sta cambiando il modo in cui
pensiamo alla scienza, in Esquire,
10.03.2020.
[13] V. l’appello di V. Pinto, D.
Borrelli, M.C. Pievatolo, F. Bertoni, Disintossichiamoci
– Sapere per il futuro,
https://www.roars.it/online/wp-content/uploads/2020/02/Sapere-per-il-futuro-documento-1-2.pdf
[14] L. Shaver, The Right
to Science: Ensuring that Everyone Benefits from Scientific and
Technological Progress, in European
Journal of Human Rights, 2015/4, 411.
[15] V. gli art. 27 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo e l’art. 15 del Patto internazionale sui diritti
economici, sociali e culturali. Di questi temi si è discusso al “Sesto congresso
mondiale sulla libertà di ricerca scientifica” organizzato dall’Associazione
Luca Coscioni e da Science for Democracy presso l’Unione Africana ad Addis
Abeba il 25 e 26 febbraio 2020. V. il comunicato dell’associazione scritto da
F. Binda e A. Boggio, Scienza aperta per
combattere il coronavirus, 21.02.2020, https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/comunicati/scienza-aperta-per-combattere-il-coronavirus/
[16] V. l’intervista rilasciata Prof.
Antonio Uricchio, Presidente dell’ANVUR, a Italia Oggi il 17 marzo 2020: ANVUR contano le linee guida dell’UE.
[17] Il riferimento è al Disegno di
legge n. 1146, Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché
introduzione dell’articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in
materia di accesso aperto all’informazione scientifica. Sulla proposta Gallo v.
Caso, La rivoluzione incompiuta,
cit., 143 ss.
[18] A proposito della “Peste nera” v.
la narrazione di A. Prosperi, Storia
moderna e contemporanea. I. Dalla peste nera alla guerra dei Trent’anni, Torino,
Einaudi, 2000, 68 ss. Devo il suggerimento della lettura di queste pagine alla collega
Maria Chiara Pievatolo.
[19]
Cfr. Y.N. Harari, The world after
coronavirus, in Financial Times,
Mar. 20, 2020.
Su Zenodo, l’archivio ad accesso aperto del progetto OpenAIRE dell’UE e del CERN, è disponibile il preprint di un mio articolo sulla nuova Direttiva 2019/790 in materia di diritto d’autore nel Mercato Unico Digitale in corso di pubblicazione su Il diritto industriale
L’istituzione di questo nuovo diritto d’autore – o meglio, di una nuova caratterizzazione del diritto di comunicazione e messa a disposizione del pubblico – è finalizzata a rendere praticabile una delle vie mediante le quali si raggiunge l’OA alle pubblicazioni scientifiche: la c.d. green road. Per via verde si intende quella forma di accesso aperto che si esplica nel deposito (c.d. self-archiving) presso archivi istituzionali o disciplinari ad accesso aperto di ciò che è stato in precedenza pubblicato con editori commerciali che chiedono un pagamento per la fruizione dell’opera (c.d. accesso chiuso). I Paesi che hanno normato la materia, novellando le proprie leggi sul diritto d’autore, sono: la Germania nel 2013, i Paesi Bassi nel 2015, la Francia nel 2016 e il Belgio nel 2018. Con diverse formulazioni tali normative mirano a blindare il diritto di messa disposizione del pubblico conferendogli i caratteri dell’irrinunciabilità e dell’inalienabilità. Si tratta di norme di natura imperativa: non possono essere derogate dal contratto. In particolare, vengono neutralizzate le eventuali clausole del contratto tra autore ed editore che fossero finalizzate alla cessione piena ed esclusiva del diritto messa a disposizione del pubblico. Sono altresì norme di applicazione necessaria, il tentativo dell’editore di aggirarle, mediante la scelta negoziale di una legge (nazionale) applicabile al contratto che non prevede il diritto di messa a disposizione del pubblico in accesso aperto, sarebbe vano.
Il diritto di mettere a disposizione del pubblico in accesso aperto l’opera scientifica costituisce un importante presidio della libertà accademica.
Da un punto di vista storico, il diritto mira a ripristinare la libera circolazione (almeno) degli articoli scientifici che nella prima fase del diritto d’autore non veniva intaccata dal diritto di esclusiva.
L’idea è riemersa in Germania a partire dal 2005, quando si è iniziato a discutere di modificare la legge sul diritto d’autore per conferire all’autore un diritto inalienabile di rendere accessibile per finalità non commerciali il proprio articolo scientifico frutto di ricerche prevalentemente finanziate con fondi pubblici dopo sei mesi dalla prima pubblicazione.
Si tratta di un dispositivo giuridico che non garantisce la realizzazione della forma più avanzata di Open Access, cioè quella che si basa sulla concessione al pubblico di ampi diritti di riuso (c.d. Libre Open Access). L’autore che, dopo aver ceduto i diritti economici all’editore, torni nella disponibilità del solo diritto di messa a disposizione del pubblico non può concedere ampi diritti di riuso mediante una licenza Creative Commons estremamente permissiva. Non può, ad esempio, concedere al pubblico il diritto di trarre opere derivate.
In altri termini, il diritto di messa a disposizione del pubblico in OA è una soluzione compromissoria in un mondo ancora dominato dall’editoria scientifica commerciale.
Il tema perciò merita di essere trattato al fine di discutere i modelli normativi stranieri, la proposta di legge italiana e i possibili sviluppi futuri.
Nella letteratura giuridica il tema del diritto d’autore sulle pubblicazioni scientifiche è stato esplorato più volte. Tuttavia, manca un approfondimento in chiave interdisciplinare della relazione tra due aspetti del diritto accademico: il diritto di paternità e i diritti economici. Di più, non è stato sufficientemente indagato l’impatto della commercializzazione della ricerca scientifica sull’academic copyright. Questo saggio si propone di iniziare a colmare, almeno in parte, le lacune ora evidenziate. In altri termini, lo scopo dello scritto è la ricostruzione di un puzzle i cui tasselli sono sparpagliati in riflessioni appartenenti a discipline scientifiche differenti. La tesi di fondo è che il diritto d’autore concernente i testi accademici subisce, nell’era attuale delle metriche e dei numeri, una distorsione che ne altera la natura e le funzioni. Tale distorsione è uno degli effetti della commercializzazione della ricerca scientifica.
Saggio in Open Access all’URL: http://hdl.handle.net/11572/210960